Il 7 ottobre 2006 veniva assassinata all’età di 48 anni la giornalista russa, Anna Stepanovna Politkovskaja. Stava rincasando nel suo appartamento a Mosca dopo aver effettuato degli acquisti ad un supermercato del suo quartiere. Arriva dinanzi al portone del palazzo dopo aver parcheggiato la sua automobile e sale al settimo piano per posare la spesa in casa per poi riscendere per prendere le altre buste. Al piano terra l’aspetta il suo killer. Egli si posiziona di fronte all’ascensore, così, quando si aprono le porte, l’uomo colpisce la giornalista con 4 proiettili della sua pistola Makarov Pm tutti sparati in rapida successione. Poi si avvicina al corpo inerme della giornalista e le spara un ultimo colpo alla nuca per poi scomparire nel nulla. ‘Uccisa l’ultima voce libera’, commentarono in molti.
Anna Politkovskaja, classe 1958, sposata, madre di due figli, scriveva per la ‘Novaja Gazeta’, periodico russo libero ed indipendente. Nella sua vita da giornalista non ha mai temuto di essere invisa a qualcuno, ha sempre criticato esplicitamente i metodi governativi di Putin, ha scritto cercando di far emergere la verità. Aveva lavorato inoltre per un inchiesta riguardante casi di corruzione all’interno del Ministero della Difesa e del contingente russo in Cecenia. Nel corso degli anni ha ricevuto molte minacce di morte da soldati russi, combattenti ceceni e altri gruppi armati che operavano ai margini della guerra. “Sono assolutamente convinta che il rischio sia parte del mio lavoro – ha più volte sostenuto la giornalista – credo che il compito di un dottore sia guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. Ma l’inchiesta che stava portando avanti sugli abusi e le torture compiute dai federali russi nella guerra in Cecenia, le è costata la vita.
Dopo la sua morte, la polizia sequestrò nell’appartamento della giornalista il suo computer e tutto il materiale dell’inchiesta. Due giorni dopo il suo assassinio, l’editore della ‘Novaja Gazeta’, Dmitry Muratov, affermò che la Politkovskaja stava per pubblicare un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov. Muratov aggiunse che mancavano anche due fotografie all’appello. Gli appunti non ancora sequestrati furono pubblicati il 9 ottobre stesso sulla ‘Novaja Gazeta’.
Già nel 2004 mentre si apprestava a recarsi a Beslan per seguire il sequestro e il massacro degli ostaggi nella scuola numero uno del capoluogo dell’Ossezia del Nord, la Politkovskaja era rimasta vittima di un misterioso avvelenamento in seguito da lei stessa attribuito ai servizi segreti russi. Donna di grande coraggio, nel dicembre del 1999 durante dei bombardamenti, organizzò l’evacuazione dell’ospizio di Grozny mettendo in salvo 89 anziani e durante l’assedio al teatro di Mosca, nel 2002, assunse il ruolo di mediatrice. “Ma sarebbe del tutto sbagliato sostenere che da un punto di vista giornalistico è stata una brutta mossa. Rinunciando al mio ruolo ho imparato tante cose che non avrei mai capito continuando a essere una semplice cronista”, commenterà la stessa Politkovskaja in un intervista al ‘The Guardian’. Insignita di molti premi per il suo operato da giornalista ma anche per il suo battersi per i diritti umani in Russia, Anna aveva sempre sperato in una società migliore e di vedere un giorno trionfare nel suo Paese una maggiore libertà. Con la sua morte morirono anche le speranze di molti cittadini che si recarono al suo funerale. Più di mille persone vi parteciparono, ma non vi andò nessun rappresentante del Governo russo. Per quanto concerne il nostro Paese, solo il radicale Marco Pannella, amico personale della Politkovskaja, andò a renderle omaggio.
Carattere forte, molto deciso, la Politkovskaja ha interpretato la sua professione come una missione, una professione che talvolta ti può portare al cinismo, ma più volte lei ha dimostrato la sua umanità. Un esempio di professionalità per tutti coloro che si affacciano nel mondo del giornalismo ma anche per tutti quei giornalisti ormai assoggettati e piegati dalle logiche di potere. Le sue parole, i suoi scritti, la forza delle sue idee non sono morte con lei ed è questa la forza della scrittura, ciò che ha fatto e ha scritto rimarrà per sempre. Concludo con quella che forse è la frase che racchiude meglio l’essenza di Anna Stepanovna Politkovskaja.
“Nell’arco della mia esistenza voglio riuscire a vivere una vita da essere umano, in cui ogni individuo è rispettato”.