Ormai è chiaro a chiunque debba confrontarsi con il tema della comunicazione, che stiamo vivendo in un Dopo che sembra essere decisamente più unto del Prima. Non si può ancora dire se siano colpe o meriti, se siano maggiori i vantaggi o gli svantaggi di questa nuova era, ma è certo che la causa risieda tutta nel web 2.0.
A meno che non siate degli hippies, dei disadattati o Jonathan Franzen – no, per quanto provi a scappare: pure Franzen – avete dovuto confrontarvi con questa situazione; peraltro, se state leggendo questo articolo significa che non devo spiegarvi nulla.
Potete scappare, potete buttarvici a capofitto, potete nascondervi o scegliere di riversarvi la vostra intera vita, incuranti di qualsiasi conseguenza: il plotone sociale è lì che aspetta la vostra mossa, e se non calcolerete bene ogni parametro come un generale sul campo di battaglia rischierete che quel plotone diventi d’esecuzione. Lo chiamerei l’Effetto Brancaleone: vi spiegherò dopo in che senso.
Ok, caro il mio scribacchino, mi direte: ma io sono io, e per una volta il Marchese del Grillo è qualcun altro; cosa volete che possa combinare io, esserino morigerato e pulce tra il pelame del San Bernardo social? Vero. Probabilmente non avete due matrimoni contemporaneamente da gestire, come quel tale che a un certo punto si è visto taggare in abito di nozze dalla moglie sbagliata. Probabilmente non avrete nulla da nascondere in senso assoluto. Probabilmente, anzi, sarete felici di sapere che chi vi sta intorno sa di voi. Ma in realtà tutti ormai vivete due o più vite parallele: una in cui uscite di casa, per comunicare fonate ancora e utilizzate i cinque sensi per rapportarvi con l’universo; un’altra in cui picchiettate tasti con lettere e numeri stampati. Un tempo questo poteva convivere facilmente: tutti noi che siamo su questo sito sprofondavamo nella lettura migrando di pianeta, per dire; il nostro mondo parallelo era, appunto, nostro.
Ora no. Ora è condiviso. Il mio mondo parallelo non è più abitato da amici immaginari e personaggi mitizzati, ma da altre persone che con me interagiscono, dialogano, discutono. Questo, mescolato al mondo numero uno – quello standard – , può creare disastri di comunicazione mostruosi.
Lo spunto arriva da Barilla, ovvio. È successo – lo scrivo solo per i posteri che leggeranno questo articolo tra vent’anni, perché la vicenda ci ha sfaccettato ogni singolo organo – che Guido Barilla, erede di cotanta stirpe di produttori di pasta a livello mondiale, abbia espresso alla Zanzara di Cruciani e Parenzo il suo disinteresse nel veicolare pubblicità che esibiscano famiglie di tipo omosessuale: per lui Barilla prevede una donna dal ruolo fondamentale in casa e valori tradizionali, che i gay si facciano la loro vita con o senza la mia pasta. Opinione del Presidente, insomma, che volente o nolente detta la linea. Premesso che – ma sì, diamo anche un altro parere: tanto uno più, uno meno… – per come la vedo io è un discorso che, se espresso a rovescio, farebbe pensare ad un target di mercato e non ad un odio ancestrale o ad una non-accettazione della condizione sessuale; premesso che è la stessa opinione dell’uomo del momento, quel progressista argentino vestito di bianco; premesso che Guido Barilla è “solo” il discendente del fondatore di un’azienda familiare da fatturati mondiali, non uno stratega del linguaggio; premesso che ritengo la sua uscita piuttosto tonta. Premesso tutto questo: qualunque stagista di vent’anni, messo dietro all’account Facebook di Barilla, piuttosto che scrivere una simile mostruosità si sarebbe mangiato la tastiera. Perché avrebbe saputo, saprebbe, che avrebbe scatenato l’ordalia sociale che ha immediatamente traslocato l’immagine dell’azienda da regina del focolare a un misto tra John Wayne e George W. Bush. Una frattura che non sarà certo ricucita da pacchi di pasta scadenti e a buon mercato o da dietro-front imbarazzanti. Una frattura ammorbidita parzialmente dal trionfo di attestati di stima da parte di Buitoni, Garofalo e altri marchi di pasta, che hanno proclamato amore eterno e sicuramente disinteressato per l’omosessualità: a questo punto la mia gara di boicottaggio diventa personale, nel senso che mi toccherà fare la pasta in casa.
Questo perché accade? Perché sui social network e sui social media noi siamo mille volte più giganteschi della realtà. Siamo colossali. E maldestri. King Kong che fa la spesa da Swarowski. Ogni nostra affermazione, ogni nostro gesto, la nostra reputazione monta a neve come cento albumi sotto la frusta impazzita del passaparola immediato. Ora Guido Barilla probabilmente lo sa, e a spese della sua azienda, ma se vuole può consolarsi pensando che è in buona compagnia: un colosso come McDonald per citare un’aziendina di nicchia, toppò pesantemente la campagna di marketing lasciando troppo spazio ai propri followers. Si “dimenticò” di essere sostanzialmente il fast food che vende panini piccoli e unti dalla dubbia provenienza: quando “succede solo da McDonald” divenne la richiesta di descrivere le proprie esperienze di pranzi o cene nella catena, non parve vero ai twitteri di aver l’occasione di raccontare al mondo quella volta che hanno trovato un topo nelle patatine. Quindi: retromarcia e spazio alla salute, al panino italiano, all’assumiamo 5.000 persone, al “guarda come siamo carini e coccolosi”; e ovviamente, tu ascolta e basta che è meglio. Lo storytelling, come si chiama in gergo, crea “engagement”, cioè ti invoglia ad essere della partita; ma se hai lati oscuri da svelare e non ti metti in gioco offri un succulento fianco. Vedi la recente campagna #Guerrieri dell’Enel, in cui l’ente chiede su Twitter esperienze di fatica quotidiana: in un attimo l’argomento è diventato lo sfruttamento del lavoro nel Terzo Mondo, di carbone e inquinamento, di prezzi gonfiati e altre frivolezze.
Ma rimarrà scolpita tra le più colossali vaccate di marketing di tutti i tempi l’uscita di Groupalia dopo il terremoto in Emilia: qualcuno twittò il geniale “Paura del terremoto? Molliamo tutto e scappiamo a Santo Domingo”. Ecco, per il suo bene spero che l’autore del tweet sia fuggito lì in tempo.
Effetto Brancaleone, lo chiamerei. Ve lo ricordate il dialogo di Gassman alla corte bizantina con Teofilatto?
Brancaleone: Quella pallida ma appetibile chi è?
Teofilatto: Mia soVella.
Brancaleone: No, intendo quella a latere con la faccia di baldracca.
Teofilatto: Mia matVe.
Direi che non dobbiamo dirci altro, no?