Scrivi Italo Svevo e leggi La coscienza di Zeno.
È così ancora oggi per la maggior parte di noi. Ma davvero recente è quel nuovo indirizzo della critica letteraria che mira a restituire il giusto valore alle opere cosiddette “minori”, spesso prolessi dei celebrati capolavori. Questo processo ha coinvolto in maniera significativa anche Italo Svevo, quella straordinaria figura della letteratura italiana che ha certamente legato il suo nome a La coscienza di Zeno, ma che ha anche attraversato un precedente iter artistico le cui tappe significative sono rappresentate dai due romanzi Una vita e Senilità.
Il filo conduttore appare, in tutte e tre le opere, legato indissolubilmente ai temi dell’inettitudine, della nevrosi, dell’incapacità di vivere una vita autentica. Temi assolutamente “europei” per quell’epoca (sempre grande è stato, a proposito, l’interesse di James Joice per tutta la produzione dello scrittore triestino). Per cronologia e maturità stilistico-artistica, è proprio Senilità l’opera che precede il capolavoro sveviano, il quale poi svilupperà, ampliandole a dismisura, le tensioni presenti in questo romanzo.
Non pochi sono coloro che ritengono l’opera in questione addirittura superiore a quella successiva.
Al centro della vicenda – come è tipico di Svevo, sempre più “interiore” che “esteriore” – troneggia la figura di Emilio Brentani, intellettuale fallito di trentacinque anni, inetto per eccellenza. Il titolo è quanto mai esemplificativo dell’atteggiamento del protagonista nei confronti della realtà e delle persone che lo circondano. In ogni suo gesto sembrano mancare energia, vitalità, positività; tutto è come filtrato, mediato da altre persone o dal proprio io.
L’impossiblità di vivere rapporti autentici si manifesta più che mai palesemente con Angiolina, “donna del popolo”, semplice, salutare ed energica, poco o per nulla interessata a questioni intellettuali. Emilio prova per lei una passione smisurata, ma mai vissuta serenamente, sempre come proiettata su di un plastico artificiale costruito appositamente per dar sfogo a fantasie di amore vero, che non corrispondono però alla realtà.
Non meno facili da gestire i rapporti con Stefano Balli, amico fidato, ma del tutto diverso – sicuro di sè e spregiudicato – e con la sorella Amalia, figura dominata da una grande tristezza e negatività, generata dal non piacevole caso di amare e non essere corrisposta (l’oggetto del desiderio è proprio il Balli).
Il lettore segue una storia quasi priva di azioni, dominata da una storia d’amore impossibile, condizionata davvero troppo da quella precoce “senilità” d’animo a cui il titolo chiaramente allude. Amalia muore, Emilio si allontana da Angiolina e riconosce, nell’ultima scena del romanzo, una strana figura di donna, di fatto una metamorfosi che rappresenta sia la sorella che la donna amata. La figura svanisce ed Emilio suggerisce al lettore un triste ritorno a quella vita vuota, a cui proprio non riesce a dare una svolta.
Si conclude così, nella suggestiva Trieste – patria di Italo Svevo – la vicenda anonima, ma che volutamente vuole esser tale, di Emilio Brentani, che scampa alla morte, triste destino che, invece, aveva colto Alfonso Nitti, protagonista di Una vita.
Evita il suicidio Emilio, a cui però sembra mancare una più completa presa di coscienza.
Ecco che subentra Zeno Cosini… Ma questa è un’altra storia.