Aspetto che lei ritorni a letto, che mi si sdrai accanto. Piccole cose.
Il suo respiro, insieme al sibilo del vento che solo io posso sentire.
Il fiume che scorre in lontananza, e la sua musica.
L’odore della notte. Il bene che, nonostante tutto, diamo e riceviamo.
La vita felice. La vita che ci resta, è solo questo, e che non va sprecata.
Mi piace e credo sia giusto partire dalla citazione di un film a me molto caro, una scelta di vita portata avanti da anni che Elena Varvello ha messo in crisi: «Quando compro un libro, io leggo l’ultima pagina per prima, così se muoio prima di finire so quello che succede».
Questo finché non leggi “La vita felice” di Elena Varvello, edito da Einaudi, qualche mese fa, un libro da leggere e comprendere pagina dopo pagina. Non è un romanzo noir e nemmeno un thriller, un romanzo d’amore o un giallo di ispirazione svedese.
“La vita felice” è un romanzo di formazione incentrato sulle colpe dei padri che ricadono sui figli, sulla capacità dei figli di riscattarsi ma è soprattutto un romanzo incentrato sulla “compassione” e sulla “comprensione”.
Elia, il protagonista, è un ragazzo solitario. Suo padre è stato licenziato e ha cominciato a comportarsi in modo diverso, scomparendo per ore a bordo di un furgone, chiudendosi in un garage e scrivendo lettere che denunciano un complotto di cui si sente vittima. Questo sino ad una notte d’agosto in succede qualcosa che distruggerà tutto, un momento di rottura che trasformerà ogni cosa.
Il romanzo si snoda pagina dopo pagina, tra i dubbi di Elia che cresce e si innamora per la prima volta, che si interroga e soffre e le elucubrazioni di un padre, Ettore Furenti, afflitto da un drammatico bipolarismo e che da uomo si trasforma un dio folle, un uomo enorme, immagine di un immane disagio psichico e sociale.
La storia di Ettore, il padre e la storia di Elia, il figlio. Un romanzo di crepe, un romanzo di rottura, di sparizioni e di morte. Ma “La vita felice” è soprattutto il romanzo della certezza della felicità e della speranza che questa possa arrivare.
Nell’Agosto del 1978, l’estate in cui incontrai Anna Trabuio, mio padre portò nei boschi una ragazza.
(…) Avevo sedici anni quell’estate in cui mio padre portò nei boschi una ragazza.
Quell’estate in cui ciascuno di noi tenne per sé i suoi segreti.
Parte così il romanzo “La vita felice”, racconta tutto in una pagina e poco più. Ma «il bello viene dopo». Una sana ansia di leggere l’evoluzione di una storia che sembra triste, drammatica ma che nasconde un grande insegnamento che Elena Varvello ci trasmette per voce dei suoi personaggi. Un romanzo brillante e intelligente a partire dal titolo, un titolo ingannevole perché nel leggere le pagine di questa storia si immagina un romanzo di rottura, di sparizioni, di dolore e di morte. Non è una domanda e nemmeno un ossimoro, “La vita felice” è una certezza, la certezza che si potrà ad un certo punto essere felici nel migliore dei modi possibili.
“La vita felice” è un romanzo che trova il suo nucleo centrale nella composizione dei personaggi, curati nei dettagli più minuziosi. Personaggi umani, dotati di un’altissima intelligenza emotiva, colti nelle loro reazioni più naturali e innaturali. Parlano i pensieri dei personaggi, parlano i loro sensi di colpa, parla il loro amore, giusto e sbagliato, parlano le loro relazioni.
Elia, il protagonista, un giovane che vediamo crescere e diventare un uomo con tutte le sofferenze e i dolori che la vita riserva.
Ettore Furenti, il padre, simbolo della crisi dell’identità, del dolore del subire lo sdoppiamento emotivo e psicologico.
E su tutti, Marta, madre di Elia e moglie di Ettore, emblema della forza dell’amore. Una donna che nonostante la tragedia che incombe e si schianta sulla sua vita ama senza remore, ama senza dubbio, ama come se fosse l’unica cosa giusta da fare. Una donna incapace forse di reagire alla circostanza straordinaria della vita ma anche una donna in grado di difendere, amare e donare se stessa oltre ogni logica e aspettativa.
Si alzò, riaprì la porta e accese la luce sotto il portico, come se lui fosse là fuori.
Restò a guardare il buio. L’ho sempre amato. Nemmeno mi ricordo di quando gli volevo bene.
È questo che deve tenerti legato alle persone, Elia.
Ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Elena Varvello durante #sTranIncontri, un festival che si è tenuto a Trani nei giorni scorsi. Elena Varvello è una donna bellissima, intelligente e sottile. Una scrittrice che ti ascolta, che non si trattiene e che sorride, sorride sempre.
E questo basta per confermarmi che in un modo o nell’altro esisterà davvero per tutti “Una vita felice”.