Grosso, rilegato in pelle. Pesantissimo.
Un quaderno di pelle, regalo di papà alla mamma.
I.N. Persino le iniziali.
Denise lo vede sempre nelle mani di sua madre. Irène sferruzza – che scandalo per la bambinaia: una signora “perbene” alle prese coi ferri! -, legge e scrive scrive scrive.
Come se il tempo finisse con la lana dei gomitoli.
Poi i silenzi. Scoppi improvvisi di russo tra i suoi genitori, incomprensibile per Denise che sa solo il francese.
La biancheria stipata nelle valigie.
Valigie. Valigie.
Da fare disfare nascondere distruggere.
Sembra che gli Ebrei – perché questa stella gialla? Che vuol dire essere Ebrei? Noi siamo francesi, mamma – e le valigie siano stati creati insieme. Identico il destino, per le persone e le cose.
“Giovedì mattina – luglio ’42 – Pithiviers
Mio amato, mie piccole adorate, credo che partiamo oggi. Coraggio e speranza. Siete nel mio cuore, miei diletti. Che Dio ci aiuti tutti”.
Sì, una scrittrice ricca e osannata può sparire così, arrestata e inghiottita dalla Storia.
Ma Denise ed Elizabeth non sanno.
Che è tempo di mettere il quaderno di mamma in valigia – un’altra – e fuggire.
Sarà un peso, la valigia. Un ricordo.
Ci dormirà, Denise, con la valigia per cuscino.
Con il dolore e la rabbia di trovarsi sola. Abbandonata forse.
Un giorno apre la valigia, Denise.
I.N.
Il quaderno.
L’inchiostro Mari del Sud della stilografica Bel Azur.
E la mamma sembra tornare, la valigia una capsula del tempo.
Ancora sferruzza, legge e scrive il libro che non vedrà pubblicato.