Prima opera di Paolo Maurensig, questo romanzo è stato pubblicato in Italia nel 1993 riscuotendo in breve tempo un notevole successo e divenendo un vero e proprio caso letterario anche all’estero.
I temi cari al suo autore vengono qui trattati accuratamente: l’identità sospesa tra desiderio di giustizia e redenzione, la memoria storica di un intero popolo e la passione per il gioco degli scacchi che nel contesto del romanzo è una metafora dell’estrema abilità di concentrazione e la fredda logica che un giocatore deve avere anche se in questo caso i giocatori sono vittima ed aguzzino.
Il racconto ha tre protagonisti: Dieter Frisch, ricco imprenditore tedesco, abile giocatore e collezionista di scacchiere, il giovane Hans Mayer, studente tenebroso ed incompreso con una storia da campione, e Tabori, anziano ebreo maestro di scacchi ossessionato dai ricordi di un passato che non appartiene solo a se stesso ma a milioni di altri ebrei vittime della Shoa.
Le vicende dei protagonisti ruotano dunque attorno al gioco degli scacchi di cui Maurensig descrive a più riprese la tecnica ed i fondamenti. L’incipit stesso del libro è una citazione storica sulle origini di questo che più che un gioco è una alchimia di regole e tecnica:
“Sembra che l’invenzione degli scacchi sia legata a un fatto di sangue. Narra infatti una leggenda che quando il gioco fu presentato per la prima volta a corte il sultano volle premiare l’oscuro inventore esaudendo ogni suo desiderio. Questi chiese per sé un compenso apparentemente modesto, di avere cioè tanto grano quanto poteva risultare da una semplice addizione: un chicco sulla prima delle sessantaquattro caselle, due sulla seconda, quattro sulla terza, e così via…Ma quando il sultano, che aveva in un primo tempo accettato di buon grado, si rese conto che a soddisfare una simile richiesta non sarebbero bastati i granai del suo regno, e forse neppure quelli di tutta la terra, per togliersi dall’imbarazzo stimò opportuno mozzargli la testa.”
La narrazione si svolge con la tecnica del flash back e le voci narranti sono quelle degli stessi protagonisti ciascuno dei quali racconta la propria versione dei fatti. Tre voci collocate in tre momenti e luoghi storici differenti : la Vienna del presente, la Germania nazista e Monaco di Baviera.
Sulla scacchiera di questo gioco con la vita i pedoni si muovono tracciando la linea storica delle vicende dei protagonisti in un crescendo di suspence soprattutto quando Tabori svela ad Hans il suo passato ed il motivo per cui nella sua polverosa abitazione ci fossero tanti ritratti di persone. Uno dei passaggi più intensi del libro è proprio il racconto dell’esperienza di Tabori nel campo di concentramento che Maurensig trascrive con un realismo quasi gotico:
“Come temevo, venni nuovamente svegliato in piena notte. Per un momento mi parve di distinguere la figura di mio padre, venuto a scuotermi dal sonno per infliggermi la giusta punizione per le mie malefatte. Fu un attimo; poi, dietro al bagliore accecante di una torcia elettrica puntata a pochi palmi dalla mia faccia, qualcuno sbraitò che dovevo immediatamente alzarmi. Ancora una volta inutile chiedere dove mi avrebbero condotto: l’avrei scoperto anche troppo presto. Era una notte senza luna. L’unica luce era la traccia lampeggiante di una torcia elettrica. Il drappello che mi aveva prelevato doveva essere composto da una mezza dozzina di uomini, forse di più: ma nella quasi totale oscurità riuscivo a distinguere solo delle ombre. In compenso li sentivo parlare: due di loro scherzavano, probabilmente si facevano beffe di me; e uno dei due si chiese ad alta voce se ero mai andato a caccia di quaglie”
Non resta che leggere il libro per conoscere la risposta e l’epilogo di tutta la storia.
Note: l’edizione letta per questa recensione è di Adelphi, Milano, 2003, pag 158