Era rimasta senza un dente all’età di dieci anni. Un giorno, all’improvviso, quel dente posto proprio alla fine del sorriso era caduto e non ne aveva voluto più sapere di ricrescere. Il dentista aveva detto subito che si trattava di una patologia molto rara e che sarebbe stato necessario metterne uno finto. Tanto con i nuovi materiali non si vedrà niente, aveva detto, però aspettiamo la conclusione della crescita, in modo da inserire qualcosa di definitivo.
Dopo qualche anno, però, soldi per un nuovo dente non ce n’erano e visto che il buco si vedeva solamente quando il sorriso era al massimo della sua espressione, la madre di Eleonor decise che non era il caso di intervenire, si sarebbe potuto aspettare ancora qualche anno. Di andare all’ospedale non se ne parlava nemmeno: «Così poi ti ritrovi che te ne mancano due» diceva la madre che, dopo la morte di una zia per un’infezione mal curata, non si fidava più della sanità pubblica.
Anni ne passarono altri quattro e a diciotto Eleonor un dente ancora non lo aveva, al suo posto una piccola cavità che dava nel buio del cavo orale e che nascondeva ormai con esperta maestria riducendo il sorriso a un grado di apertura inferiore a quanto si sarebbe sentita di fare. Quando gli amici raccontavano una barzelletta rideva, ma un po’ meno, trattenendo quel tanto che bastava per non mostrare il dente mancante. Sentiva il desiderio di sorridere a Bruno che in quel periodo le piaceva davvero tanto, e allora accennava un sorriso che presto però si trasformava in una smorfia per la forzatura dovuta al rischio di svelare il proprio segreto. Eleonor non sapeva più come fare, perché a casa soldi per fare la sua operazione non ce n’erano, in ospedale da sola non ci poteva certo andare e in più adesso la madre non stava molto bene e le cure mediche erano costose e necessarie.
«Sorridi ugualmente, Eleonor, che te ne frega, non si vede neanche» le diceva Linda, la sua migliore amica. «Certo che sistemarlo sarebbe la cosa migliore» aggiungeva, non andando di certo a confortare Eleonor che si sentiva così ancor più scoraggiata.
Quella notte Eleonor aveva fatto un sogno. Era andata da un dentista, e questo dentista era Bruno, che la accoglieva ancor più bello per il camice bianco che indossava nel suo studio.
«Accomodati, Eleonor» – le diceva
«Grazie, Bruno» – rispondeva lei – «Finalmente posso risolvere questo problema che mi sta davvero facendo male».
Dopo più di un’ora di lavoro, Bruno era riuscito a regalare ad Eleonor il sorriso che aveva tanto desiderato in tutti quegli anni ed era ancor più gioiosa, perché lui le aveva chiesto di uscire a mangiare una pizza assieme.
Poi la voce della madre che la chiamava per andare ad aiutarla nella sua stanza l’aveva svegliata e catapultata in una realtà, dove il suo dente non c’era e non c’era nemmeno la speranza di poter sistemare le cose una volta per tutte. Come fare? Si sentiva imprigionata, costretta a non poter sorridere.
Bruno le piaceva sempre di più, e accadde che una sera la invitasse, non a mangiare una pizza, ma a bere un aperitivo assieme. Era interessato a lei? Ma certo che sì e quell’invito, dopo tanto tempo, ne era la prova.
Una volta al bar, i due iniziarono a parlare ed Eleonor stava ben attenta a non aprire troppo la bocca per paura che Bruno vedesse che le mancava un dente. La serata trascorse velocemente: Bruno raccontò del suo lavoro, degli amici e della squadra di calcio con cui giocava da due anni. Lui era il capitano e quell’anno erano in competizione per conquistare la promozione nella categoria dei professionisti. Eleonor era entusiasta di poter trascorrere un’intera serata ascoltandolo e sperava in cuor suo che al termine dell’incontro Bruno le avrebbe rinnovato l’invito. E così fu. Si sarebbero incontrati il giorno successivo al bar.
Al momento di salutarsi sotto casa Bruno la baciò, ma quando il bacio si concluse, Eleonor era talmente felice da non riuscire a trattenere il sorriso: fu proprio allora che Bruno vide il dente mancante – Eleonor se ne accorse – lo sguardo del ragazzo era mutato improvvisamente. Lei si ritrasse, serrando la bocca e cambiando a sua volta espressione.
«Ora lo sai. Sono senza un dente».
«Ti fa male?» chiese Bruno.
«No, non mi fa male, l’ho perso molti anni fa».
«Non me n’ero mai accorto».
«Lo so, sono in pochi a saperlo. Ho sempre fatto di tutto per nasconderlo».
«E perché?»
«Perché non è bello da vedere e perché non l’ho mai sistemato e me ne vergogno».
«Vai da un dentista».
«Ci andrò, ma ora devo salire, ne riparliamo.»
«Ok. Ciao.»
Non sapeva perché aveva detto così. Ne riparliamo? In realtà, Eleonor non aveva nessuna voglia di riparlarne. Non sapeva più cosa pensare, ma non sarebbe stato possibile nascondere a Bruno ancora per molto il dente che non c’era e prima o poi sarebbe successo.
Il giorno seguente, come d’accordo, Eleonor andò al bar dove doveva incontrarsi con Bruno alle sei e mezza. Alle sette non era ancora arrivato e così decise di chiamarlo. Non rispondeva. Sarà successo un imprevisto, pensò, e se ne tornò a casa.
Ma non era successo nessun imprevisto a Bruno, che aveva deciso di non andare all’appuntamento per il semplice fatto che Eleonor era senza un dente e lui, con una senza un dente, non ci sarebbe mai stato.