(Ovidio- Metamorfosi- Piramo e Tisbe)
“Pyramus et Thisbe, iuvenum pulcherrimus alter,
altera, quas Oriens habuit, praelata puellis,
contiguas tenuere domos, ubi dicitur altam
coctilibus muris cinxisse Semiramis urbem.
Notitiam primosque gradus vicinia fecit :
tempore crevit amor”
Così nasce la storia d’amore tra Piramo e Tisbe, un amore contrastato dalla stoltezza dei genitori, un amore delicato spento nel sangue prima ancora di essere germogliato. Ovidio con le sue Metamorfosi ci regala uno dei miti più struggenti che la tradizione letteraria abbia mai ereditato. Affrontando un tema, apparentemente banale, descrive fin dove l’amore vero possa arrivare, fin dove l’amore possa entusiasmare. Due giovani che pur di unirsi nell’anima e nella carne, contro ogni pregiudizio e ogni ostacolo decidono di fuggire insieme. Quella sottile parete che li divide – “invide” dicebant “paries, quid amantibus obstas?- si è trasformata solo in un altro ostacolo da oltrepassare. Per questo i due innamorati decidono di fuggire “col favore della notte” per incontrarsi presso il sepolcro di Nino. La prima ad arrivare è la bella Tisbe ma nell’intrepida attesa spaventata dalla vista di una leonessa, fugge lasciando alle sue spalle un velo che presto si mescolò con la terra. La leonessa dalle grosse e insanguinate fauci addenta il velo abbandonato sporcandolo con la sua brutalità bestiale. Giunto al luogo predestinato il giovane Piramo, alla vista della veste strappata e intrisa di sangue, arrivando a false e ingannevoli conclusioni sulla presunta morte dell’amata, decide di togliersi la vita trafiggendosi con la sua stessa spada. Vivere senza la donna amata equivale a non vivere affatto e morire nella speranza di ricongiungersi ad essa è l’essenza di un amore puro. Piramo muore lentamente e nel dolore di essere stato lui stesso la causa della morte dell’amata:
Il pugnale di cui era cinto se lo immerse nel ventre,
ma subito, morente, lo estrasse dalla bruciante ferita,
e giacque supino al suolo. Il sangue sgorga alto,
come quando un tubo di piombo corroso
si crepa e da una sottile fenditura lunghi
sprizza i getti d’acqua e fende l’aria a fiotti.
I germogli dell’albero macchiati di sangue un livido
aspetto assumono, e la radice impregnata di sangue
tinge di rosso cupo le bacche pendenti.
Dopo essersi ripresa dallo spavento della vista della belva, Tisbe ritorna sui suoi passi ma arrivata nel punto prescelto, le si para davanti agli occhi uno scenario agghiacciante. La vista dell’amato esanime a terra la fa vacillare. Piange, si dispera, grida ma Piramo non può più udire le sue dolci parole. Tisbe afferra lo stesso pugnale che ha tolto la vita del giovane, lo stesso pugnale ancora caldo della vita spezzata e anch’essa si trafigge. Prima di morire rivolge una preghiera agli dei, ai genitori e allo stesso albero che per sempre sarà simbolo del loro amore:
Siate dunque legati a questa preghiera di entrambi,
o assai infelici genitori di me e di lui,
che a coloro che amore certo e l’estrema ora unìrono,
non sia negato di essere composti nello stesso sepolcro.
E tu, albero che con i tuoi rami il povero corpo
di uno proteggi, e che presto coprirai quello di entrambi,
conserva il segno del sangue, e scuri e adatti al lutto
mantieni sempre i frutti, a memoria del nostro sangue!”
Termina nella commozione generale la storia di due fanciulli che ebbero come unica colpa quella di amarsi. Si amarono fino all’ultimo respiro e nella morte trovarono quel sollievo che la vita non gli aveva donato. I paladini di questa tragedia non possono, però, non ricordarci un’altra coppia famosa della letteratura inglese: Romeo e Giulietta. Si può quasi dire che i protagonisti del mito ovidiano siano gli antenati della tragedia shakespeariana. Una strana coincidenza? Una singolare emulazione? Un tentativo di plagio? Da sempre amori ostacolati da cause politiche o sociali sono stati materia prima di grandi romanzi o di affascinanti miti e l’amore contrastato da sempre topos narrativo della letteratura occidentale e ,proprio per questo, non è poi così strano avvistare tematiche analoghe in due autori così distanti nel tempo. Giovani pronti a morire per amore, vite spezzate bruscamente sono alla base di queste due storie. Piramo e Tisbe, Romeo e Giulietta, pur amandosi e pur essendo “eroi delle emozioni” o “paladini dei sentimenti” sono comunque destinati a morire fin dall’inizio. Essi si battono, infatti, contro una potenza superiore, un destino beffardo e fallace che li confonde con fraintendimenti ingannevoli e li conduce verso la via errata.
Luciano De Crescenzo in uno dei suoi capolavori, “I grandi miti greci”, dove con molta ironia spiega e racconta i grandi personaggi dei miti, sostiene che in quest’epoca la maggior parte delle persone potrebbero elencare a memoria i nomi dei personaggi della soap opera statunitense “Beautiful” ma ,davanti ai nomi dei grandi protagonisti dei miti e della letteratura latina o greca, non saprebbero aprire bocca. Forse De Crescenzo non si sbaglia ma, è anche vero che la letteratura in generale non deve essere un’imposizione ma una passione e di certo c’è ancora qualcuno che ama avventurarsi nella storia del passato alla ricerca di avventure, miti o racconti che sono alla base di un prezioso patrimonio culturale.
Ernst Jünger, filosofo e scrittore tedesco, scriveva: “Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono, è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica. Nonostante la loro consunzione moderna, i miti restano, al pari della metafisica, un ponte gettato verso la trascendenza”.