Indiscusso uomo di cultura e splendido narratore, Elio Vittorini è stato un grande nome del Novecento letterario italiano.
La sua scrittura nasce e si sviluppa dall’esigenza di partecipare alle tendenze più vitali del presente. Nelle sue opere, Vittorini proietta la propria coscienza della situazione storica, convinto come pochi del valore socio-culturale e politico della letteratura. È qui il suo insegnamento, il potere che la sua figura sprigiona, il motore della sua ricerca: la convinzione, appunto, che la letteratura possa cambiare il mondo.
È, quella di Elio Vittorini, un’esperienza da questo punto di vista universale, che travalica tempo e spazio.
Nella tumultuosa ricerca dello scrittore alle domande del presente e del futuro, tra i racconti giovanili, Il garofano rosso, Uomini e no, Le donne di Messina e Le città del mondo, si piazza l’opera di maggior risonanza, considerata, dalla maggior parte della critica, il suo capolavoro: si tratta di Conversazione in Sicilia, apparso in cinque puntate su “Letteratura” tra il il 1938 e 1939, stampato in volume nel ’41, prima con il titolo Nome e lagrime e poi con quello definitivo.
Il romanzo si apre con la presentazione del protagonista, Silvestro Ferrauto, intellettuale milanese che decide di intraprendere un viaggio attraverso tutta l’Italia per giungere in Sicilia, la terra natìa, alla scoperta delle sue radici e della sua identità, in un momento storico quanto mai cupo per la storia della nostra penisola.
La trama – dobbiamo essere sinceri – non è certo il punto di forza dell’opera. Non è stata la prima e non sarà certamente l’ultima la storia di un uomo che vive il topos del viaggio a 360 gradi, in cerca di avventure sì, ma innanzitutto di se stesso, diretto verso la terra d’origine.
Ma Vittorini riesce a trattare la vicenda con estrema leggerezza, attraverso una scrittura semplice ma nel contempo audace, in grado di aprire con forza, attraverso il suo ritmo lirico e sacrale, uno spazio illusorio nel grigio vuoto del mondo. Conversazione in Sicilia è un vero e proprio romanzo lirico, un libro che si legge come una poesia, tra le cui pagine si avverte l’odore di sfumature e corrispondenze segrete, su uno sfondo mitico, di una Sicilia quasi ancestrale, terra incontaminata dove il bene del genere umano è in grado di riscattare il dolore che pervade il “mondo offeso”.
È infatti da quel fondo oscuro che può nascere una partecipazione più profonda alle sorti del mondo, l’ultima speranza – sembra dirci lo scrittore – di riscatto, una nuova promessa di libertà contro quella dittatura fascista a cui pure, paradossalmente, Vittorini aveva in gioventù strizzato l’occhio, affascinato da quell’esplosione di vitalità che prometteva una rivoluzione ideologica. Considerati i tempi di stesura e pubblicazione, molti hanno visto nel capolavoro dello scrittore siracusano un romanzo cifrato, fatto di rimandi non espliciti alla politica dell’Italia fascista; un encomio, secondo alcuni, di quei pochi che coraggiosamente hanno opposto resistenza al regime.
Comunque lo si voglia leggere, Conversazione in Sicilia sprigiona un mondo vivo, puro, ai confini della memoria e del mito.
Un libro che, come ha scritto il giornalista Geno Pampaloni, non si può leggere o rileggere senza commozione, perchè nessun altro scrittore italiano dopo Foscolo ha saputo interpretare con tanta eloquenza la coscienza inquieta dei contemporanei.