“Ecco ci risiamo”, ho ripetuto tra me e me quando è scoppiato lo scandalo del partito della Lega Nord. “Il popolo italiano” – continuai a pensare – “svegliatosi dal proprio torpore è tornato ad indignarsi. Si arrabbierà tantissimo, farà le sue sfuriate, si sfogherà e poi si calmerà, per poi tornare nel suo sonno profondo fino al prossimo scandalo. A quel punto nuovamente si indignerà, ma per quel tempo che basta, poi tornerà nell’oblio. È un circolo vizioso in cui ormai ci troviamo, che non so quando finirà, ma, cosa ancor più grave, è che non so se finirà mai”.
Quando il popolo italiano si indigna lo fa per bene, alcuni vengono anche tacciati di inutile moralismo, se non misero in taluni casi. E invece è giusto indignarsi quando si subisce una grande delusione, soprattutto se i protagonisti di quella delusione sono personaggi che stimi, a cui magari hai dato un voto, o magari perdono quella stima che riponevi in loro. La cosa si fa più seria se sono personaggi che dovrebbero avere un ruolo di guida, da loro ti aspetti un comportamento sempre professionale. Ovviamente siamo tutti esseri umani, l’occasione fa uomo ladro, e chiunque può incappare in errori. Pazienza, una volta appurato la gravità dell’errore e la colpevolezza del soggetto, quest’ultimo deve lasciare spazio a chi è più pulito di lui. Il discorso è abbastanza semplice e lineare.
Nel Belpaese però accade un fatto strano. Il soggetto che compie l’errore si difende con tutte le sue forze, talvolta inventando scuse paradossali, e allora scatta l’indignazione. L’opinione pubblica può creare e distruggere in un batter d’occhio, si sa; un personaggio tanto amato, il giorno dopo, può essere anche ripudiato e messo al bando. Subito si creano diversi schieramenti, a difesa o all’attacco del colpevole, passano giorni e giorni, anche mesi e piano piano la storia incomincia a sgonfiarsi. Gli indignati incominciano a non interessarsi più a quel personaggio, non si interessano più delle eventuali vicende processuali, l’indignazione sfuma e tutto torna come prima, dimenticandosi dell’intera storia. Insomma ho l’impressione che non si ha la memoria lunga e quando si potrebbe far cambiare qualcosa grazie alla spinta del popolo, quando poi siamo lì lì per farcela, alla fine, non cambia nulla. Come sia possibile, mi domando.
Se analizziamo bene la questione però, spesso l’indignazione si tramuta solo in una banale caccia alle streghe. Trovato il colpevole, che viene messo alla forca, al massacro mediatico e viene reso all’opinione pubblica come capro espiatorio, in molti si accontentano… “Giustizia è stata fatta”, vanno ripetendo. I mass media completano l’opera, captano il sentimento comune, contribuiscono a creare il nemico pubblico e il gioco è fatto. Di intere vicende, con iter processuali lunghissimi, la maggior parte degli italiani non sa nulla o quasi, però una volta individuato il colpevole, magari a capo di un intero sistema che ruota attorno a lui con vari personaggi, tutto svanisce, e di quella vicenda si ricorderà solo lo scandalo dell’unico colpevole additato come nemico pubblico. Dopo qualche tempo si farà anche un sorriso e tutto viene ridimensionato in una mera boutade. E così si ritorna alla faccende quotidiane, pronti però a scattare al prossimo scandalo. E invece dall’indignazione dovrebbe scaturire quella rabbia che ci impone di agire per far cambiare ciò di cui non ne possiamo più, per far cambiare anche modi di pensare che ormai non ci appartengono più. Al contrario spesso, proprio perché non cambia nulla, quell’indignazione si trasforma in rabbia repressa, la quale può sfociare nella più becera violenza. Se quella rabbia, quella indignazione, non si trasforma in azione volta al cambiamento, allora diventa inutile. Diventa fine a se stessa, e non basta semplicemente indignarsi.
La strada è lunga, il cammino incerto, le cose da cambiare sono molte. Intanto gli anni corrono e il tempo non è certo galantuomo…