Ci sono persone che hanno un dono e ne sono ignare, o lo tengono nascosto agli occhi dei più. Ci sono persone che hanno un dono, e talvolta –quando un bicchiere di vino scioglie gli animi o un filo di fumo confonde lo sguardo- talvolta, decidono di dividerlo con te. Allora, con gli occhi socchiusi, queste persone raccontano.
Raccontano di uomini, ma più spesso di luoghi. Raccontano anche di fatti, ma più spesso di sogni. E seguendoli nel loro racconto, tu –sì tu, quello disincantato e presente a te stesso- ti ritrovi a lasciare la terraferma cui ti ancori ogni giorno, e a seguirli sul filo teso delle parole, sperando che l’una rincorra l’altra in un susseguirsi costante e che tu –quello prudente e sensato- non ti ritrovi a precipitare da un’altezza che non pensavi di poter raggiungere. Ma insieme acquisisci l’inconfessabile certezza che le parole finiranno piano e piano scenderai verso il mondo che hai lasciato in basso e tu –quello che ora corre sul filo con gli occhi chiusi- ti ritroverai a dire, ma che bella storia, amico mio, ma ora scusa, ho da fare. E lui dirà, sì, hai ragione, è una bella storia, e resterà lì, la sigaretta spenta, il vino che si secca sul fondo del bicchiere.
Ma succede a volte che tu –quello che non ha tempo da perdere e invece ha tanto lavoro da fare- proprio tu un giorno decida di andare a vedere se quella storia, quelle parole potresti magari incontrarle come conoscenti di tanti anni prima – tu, quello che ha sempre fretta-e lasciando l’orologio sul tavolo, infili dei sandali ai piedi. E succede -ma di rado, è certo- che seguendo i ciottoli che quelle parole lontane hanno seminato una sera tra il vino e il fumo, speri forte di scoprire che la storia era vera, speri di non vedere grigiore e silenzio dove qualcuno aveva raccontato di piccoli incanti ad ogni passo, stupori minuscoli dietro ogni angolo.
Temendo forte di dover ammettere di aver corso sul filo per nulla.
E succede anche che, quando ormai stai per rinunciare, chiedendoti come mai tu –quello serio e posato- sia arrivato fin là, percorrendo chilometri e speranze inutili, quando non ci credi già più e sei pronto ad andare a riprendere l’orologio che hai lasciato sul tavolo, allora attraversi una porta, un arco teso sul cielo lavanda che è già quasi notte, e vedi. Il respiro fermato a decidere se muovendoti non sarà più la stessa cosa, incontri le parole che tempo addietro hai ascoltato e che ora ti vengono incontro correndo, ragazzini lanciati all’inseguimento di un pallone sgonfio. E dietro quell’arco cammini in silenzio, in piccole strade che, lo hai scoperto ora, a te -quello che vive nella grande città del rumore e dei viali- a te mancavano senza che tu lo sapessi. Ai bordi l’erba secca e gialla sembra bellamente ignorare l’asfalto che avanza e dietro muretti screpolati i gelsomini traboccano spumeggiando profumo. Fichi e susini decrepiti portano curvi sporte di frutti, aspettando con la rassegnazione dei vecchi che mani sfrontate e bambine vengano ad alleggerirne il peso. Gli archi si inanellano, i tetti si incurvano di tegole, i lampioni tacciono. Sedute sugli scalini davanti alla porta, due donne parlano piano senza difendersi dal caldo, un vestito tranquillo, le gambe nude. Da un giardino che non si vede arrivano le voci di chi ha preso una sedia da casa e l’ha portata fuori, con la certezza di non esser solo nel buio. Mute bocche spalancate, sbadiglianti sulla strada, porte e finestre non portano tende né sbarre, non conoscono paura, gli infissi sdentati e qualche bagliore di alluminio che suona dentiera.
Fischia nelle tue orecchie il rumore di una bicicletta sgangherata, la forma di una fionda di legno nella tasca dei pantaloncini e il sapore dolce e aspro di fichi e susine ancora acerbi e mangiarli seduto su un marciapiede, e la cena è pronta gridato da un balcone, ancora qualche minuto, mamma, ti prego…
Ci sono persone che hanno un dono e talvolta lo condividono con te, mentre il fumo sale e il vino rende tutto più facile. Quando lo fanno, bisognerebbe avere i sandali pronti, per non perdersi.