La tragedia s’era già abbattuta due volte sulla famiglia Winshaw, ma mai in proporzioni così terribili. Il primo di questi incidenti ci porta indietro alla notte del novembre 1942, quando Godfrey Winshaw, che aveva solo trentatré anni, fu abbattuto dalla contraerea tedesca mentre volava sopra Berlino per una missione segreta. La notizia, che fu portata a Winshaw Towers nelle prime ore del mattino, bastò a sprofondare la sorella maggiore, Tabitha, nel gorgo della pazzia, dove sino a ora è rimasta. Tale fu la violenza della sua follia che si ritenne addirittura impossibile farla presenziare alla cerimonia ufficiale in onore del fratello.
In ogni gruppo familiare c’è almeno una pecora nera, uno zio, un cugino di cui ci si vergogna e del quale si parla malvolentieri con gli estranei. Ma ci sono famiglie in cui il guasto si annida quasi in tutti i componenti, come un cancro che circoli invadendo ogni organo, con metastasi non eliminabili. Quando la famiglia poi rappresenta un intero Paese, e questo Paese è la Gran Bretagna della Lady di Ferro, non c’è scampo, pare dire Jonathan Coe in questo romanzo, considerato da molti la sua opera più compiuta.
Poiché, nonostante quanto affermerò appresso, l’ intreccio risponde ai canoni del poliziesco, non mi dilungherò sulla trama, delineandone solo l’esordio che è all’origine della narrazione.
Uno scrittore fallito e affetto da agorafobia, Michael Owen, è incaricato di scrivere la storia di una complicata quanto rispettata famiglia. La committente, Tabitha Winshaw, è un’anziana donna (solo in apparenza) demente e convinta che la morte di suo fratello Godfrey –ucciso durante la seconda guerra mondiale- sia stata causata da una trama di famiglia.
È questo il movente che permette a Jonathan Coe di tratteggiare, attraverso la mano del suo alter ego Owen, una serie di ritratti crudamente realistici della famiglia Winshaw, i cui membri si sono insediati nel cuore della società britannica thatcheriana ad ogni livello di potere: massmedia, industria, armi, politica. Le descrizioni dei vari componenti della famiglia sono lusinghiere quanto colpi di pistola, incerte come tagli di bisturi, l’inchiostro delicato quanto cianuro: si trafficano armi con Saddam Hussein, si truffa, si ricattano sessualmente giovani donne, si ruba, si sporca senza alcun limite alla bassezza, senza conoscere scrupoli né vergogna.
Coe porta avanti la sua narrazione sul filo sospeso tra poliziesco e denuncia sociale, dove la pesantezza delle situazioni reali (dalla corruzione diffusa alla vendita d’armi proibite fino all’allevamento in batteria e al decadimento dei servizi pubblici) è bilanciata da un humour che lega i denti e da un intrigo ben costruito, in cui i pezzi del rompicapo si incastrano l’uno dopo l’altro fino ad arrivare ad un finale rovinoso e travolgente, in tutto degno dell’opera di Agata Christie che fa da referente letterario per l’intero romanzo.
Lo stile è come sempre in Coe assolutamente limpido, preciso senza pedanteria, esente da stanchezza lessicale e banalità.
Nessuno vorrebbe avere tra i suoi parenti personaggi come i Winshaw, ma vi consiglio di non declinare per nessuna ragione il loro invito: l’unico ospite escluso sarà la noia.
“…We’d rather leave and fly to the moon / Than say the right word too soon / We’d lose our cruel strenght / We’re so proud to waste a chance”
(dalla canzone di L. Philippe”Yuri Gagarin”, pag. 1)
…Preferiremmo volare fino alla luna/che dire la cosa giusta troppo presto:/ perderemmo la nostra forza crudele./ Siamo così orgogliosi di sprecare un’occasione.