Sabato. Ciò che resta è solo musica, una musica che va via via disperdendosi tra le strade delle nostre città che ancora per un po’ la vedranno protagonista. Alcune ne saranno avvolte, altre le faranno da cornice, altre ancora da contorno. Ci sono poi quelle città che, della musica, sono state fonte di ispirazione, ricordi e storie frutto di una vita o di un momento, quella piccola emozione troppo forte da contenere, sola, nella propria mente. Così come ogni forma d’arte, l’espressione di un gesto trova spesso una nascita in quei luoghi che attraversiamo, non importa se col corpo o con l’anima.
E la melodia delle parole poco si discosta da quella della musica. Ne sa qualcosa chi attraverso le parole ha dato vita a racconti immortali, frutto di uno sguardo denso e un ricordo lontano.
La settimana si conclude, e con essa gli strascichi di un’eco melodico che da anni ci tiene compagnia. Le fa da sfondo Sanremo, una città che oggi s’inorgoglisce solo al cantare di passaggio di ignote ombre, dimenticando origini lontane fonte d’ispirazione di uno dei più grandi artisti del secolo passato, Italo Calvino.
Nato, quasi per gioco, a Cuba, Calvino si trasferisce a Sanremo all’età di 3 anni. La sua infanzia è rimarcata subito da uno spiccato senso di appartenenza alla propria terra che egli rinnegherà più volte, a causa della distruzione della stessa da parte delle forze armate fasciste. Una lotta interiore e non solo che caratterizzerà l’intera crescita personale e artistica dell’autore, un amore forte e distruttivo per un paese sulla via del cambiamento.
Il suo unico romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno”, interamente ambientato nella città d’infanzia, riprende con vigore i temi a lui più cari e in maniera violenta li caratterizza attraverso una malinconica nostalgia paesaggistica:
“Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico. Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l’orina dei muli.”
(Il sentiero dei nidi di ragno)
L’esperienza partigiana imprime nella produzione letteraria dell’autore un inchiostro amaro che influenza così anche lo sguardo dello stesso verso la propria terra. Quando, con distacco e da lontano, pone i Liguri in due categorie, quelli legati alla propria terra “come patelle allo scoglio che non riusciresti mai a spostarli”, e quelli ormai maturi, che hanno abbandonato un’idea ormai astratta di quel luogo chiamato casa “dovunque siano si trovano come a casa loro”.
Una constatazione dolora e necessaria, quella di un uomo consapevole della trasformazione imminente della propria città, un tempo un opale incastonato tra l’azzurro del Mar Ligure ed il verde delle colline. E così la decisione di vagheggiare altrove, lontano da chi, di quel verde ne aveva avuto maleducazione e poca cura. Deturpata, stuprata. Così era per Calvino quella terra amara, quella Sanremo un tempo impregnata di salino e dell’aspro odore dei limoni.
Come se si potesse dimenticare, come se si potesse cancellare.
Gli antichi borghi, i pendii, gli orti e i carrugi. La Madonna della Costa, le case di campagna e i cadenti ponti. Questa è la città che ho imparato a conoscere, questa è la città che ho immaginato, grazie alle pagine, ancora vive, dei racconti di un cittadino “qualunque”.
Se fosse ancora vivo Calvino, oggi, riuscirebbe a sentire la melodia delle parole?
Io sono solo stordita dal clamore di una musica che non riesce a risvegliare neanche la storia di una città.
“Eravamo i duri di provincia, cacciatori, giocatori di biliardo, gradassi, fieri della nostra rozzezza intellettuale, schernitori d’ogni retorica patriottica o militare, grevi nel parlare, frequentatori di bordelli, sprezzanti ogni sentimento amoroso e disperatamente senza donne”