Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca;
mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali.
Non servono tranquillanti o terapie
ci vuole un’altra vita. […]Sulle strade la terza linea del metrò che avanza,
e macchine parcheggiate in tripla fila,
e la sera ritorno con la noia e la stanchezza.
Non servono più eccitanti o ideologie
ci vuole un’altra vita. (Un’altra vita, Franco Battiato).
Ci vuole un’altra vita cantava il ‘Maestro’ Battiato. Indubbiamente siamo presi totalmente dal tran tran quotidiano che ormai non ci fermiamo più. I vari impegni lavorativi, universitari, familiari e quant’altro, non ci fanno restare fermi nemmeno un attimo. Vedere la mattina la folla di persone nella metro che va di fretta, gente che corre velocemente le scale facendosi largo anche a spintoni, osservare questa fila lunga di essere umani sulle scale mobili che sembrano che ci portino dall’inferno verso un posto ancora peggiore, mi fa sorridere. Semplicemente perché vedo in giro una frenesia che non ci fa più ragionare su noi stessi, che non ci fa riflettere su di noi. Ci fa stare sempre stressati, nevrotici e non servono certo dei tranquillanti, tanto il giorno dopo è uguale al precedente.
Ci vorrebbe, appunto, un’altra vita. Ma mi domando se sia questo che vogliamo realmente. Perché noto che per molti va bene avere ritmi di vita stressanti, più si è impegnati più c’è meno tempo per riflettere. Quasi si ha paura di restare per un minuto fermi, da soli con se stessi nella propria stanza, soli con i propri pensieri. Perché se si incomincia a pensare allora, sorgono inevitabilmente riflessioni sulla nostra vita. Si nota magari che non si sono raggiunti ancora gli obiettivi prefissati, si osserva che magari non ci si sente soddisfatti della carriera universitaria che si sta svolgendo, si pensa che c’è bisogno di una compagna o compagno per completarsi, si ritiene che il lavoro non è quello che si sognava di fare e si rischia di sentirsi sviliti, infelici, morti dentro. Ci si ripromette quindi che in futuro si cercherà di stare meglio, poi si vedrà, al momento ci sono altre cose a cui pensare. Ma quand’è allora che dobbiamo sentirci vivi? Il passato è andato, lo dice la stessa parola, il futuro ancora deve arrivare. La risposta ce la dà il monaco Zen, Thich Nhat Hanh, autore del libro ‘Essere pace’.
Si tende a vivere nel futuro, invece di vivere qui e ora. Diciamo sempre. “Aspetta che finisco l’università e mi laurei allora sarò realmente vivo”. Poi, quando ci siamo laureati e non è stato facile, rimandiamo ancora. “Solo quando avrò un lavoro mi sentirò realmente vivo”. Dopo il lavoro, la macchina. Dopo la macchina, la casa. Non siamo capaci di sentirci vivi nel momento presente. Tendiamo a posporre in un futuro generalmente lontano, non sappiamo quanto. Ma il momento di essere vivi è adesso. Altrimenti c’è il pericolo che tutta la vita trascorra senza essere riusciti a viverla. La tecnica, se si può chiamare così, consiste in questo: essere in questo preciso momento, essere consapevoli che siamo, qui e adesso, perché l’unico momento per essere vivi è proprio adesso. “So che questo è l’unico momento”. Questo preciso momento è il momento reale. Essere qui e ora, gioire di questo momento è il nostro compito più importante. “Calma, sorridi, momento presente-unico momento”. Mi auguro che vorrete provare.
Allargo il concetto di sentirsi vivi a quello di sentirsi felici. Se ci si sente vivi nel presente allora inevitabilmente ci sentiremo felici e così si costruisce un futuro migliore, molto più sereno. Ovviamente tutti questi bei concetti vanno a scontrarsi con la realtà, a volte dura, negativa, che ci mette di fronte ad episodi tristi, spiacevoli talvolta drammatici. In questi casi i concetti del sentirsi vivi e del sentirsi felici traballano fortemente. Per Arthur Schopenhauer la felicità non esiste, perché anche un desiderio inadempiuto ci è causa di dolore e l’appagamento si trasforma solo in sazietà.
Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito, l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. La felicità, ammesso che si possa usare ancora questo termine, è uno stato essenzialmente negativo, è mancanza di bisogno e di desiderio, che genera però noia, cioè nuova infelicità.
Ritengo che la verità stia nel mezzo. Bisogna sentirsi vivi ora, adesso, per sentirsi felici, ma è anche vero che la vita umana ci mette dinanzi a situazioni che fanno cadere tutte le nostre certezze. Non bisogna però farsi trasportare troppo dagli eventi, positivi o negativi che essi siano. Né esaltarsi troppo nelle situazioni di benessere, né tantomeno deprimersi enormemente negli eventi di forte dolore. Si deve avere sempre l’input per ripartire, così come bisogna cercare di realizzare i propri obiettivi fin quando se ne hanno le forze senza arrendersi alle prime incertezze. Non è detto che ci si riesca, le difficoltà che si incontrano nel cammino sono numerose, ma se ci abbiamo provato allora non avremo rimpianti e si cercheranno altre vie. Penso che si debba cercare di vivere a pieno il presente, intraprendere nuove relazioni, avere il coraggio anche di fare salti nel buio, magari gettarsi anche in storie che non ci danno certezze, sarà il senno di poi a trarre le conclusioni. Ma intanto si è vissuti il presente, si sono fatte nuove esperienze e sapremo come comportarci nel futuro. Esso ci riserberà sempre novità che solo vivendole nel momento in cui si devono vivere potranno poi rivelarsi esperienze positive o negative.
Vivete ora dunque, nel presente e ricordate che nel bene e nel male, come direbbe Gaber, “Tutto quel che accade fa parte della vita”.