Gli ultimi saranno i primi. Se vi dovesse venire in mente di citare questa frase davanti a qualcuno degli ultimi, vi suggerisco una rapida controllata alle vie di fuga. La promessa del regno dei cieli era un buon modo di mettere a tacere le masse inquiete, oggi non ha più un così valido effetto placebo. Ai più miserabili fra gli uomini può capitare di vivere esistenze straordinarie e compiere gesta epiche, alle volte per inseguire la fortuna, altre volte, più semplicemente, per inseguire un tozzo di pane.
In questi giorni, la notizia della condizione di abbandono in cui versa la tomba di Giovanni Verga, mi ha portato ad una riflessione. Quanto è il rispetto che si deve ad autori di quel calibro? È sufficiente costringere ragazzini svogliati e brufolosi a fingere di aver letto “I Malavoglia”? Scontata la risposta negativa. Certo ci si potrebbe chiedere perchè questo atto di denuncia sia giusto, e se davvero sia necessario denunciare l’incuria riservata alle spoglie mortali del caro Giovanni. Anche in questo caso la risposta è stata semplice. Verga è vivo e quella è la sua casa ora. Se non mi credete, provate a leggere ”Vita” di Melania G. Mazzucco. Nessun plagio, nessuna brutta copia. Una perfetta dimostrazione del fatto che chi ha avuto una tale influenza, sulla nostra letteratura nazionale, continua a vivere in quello che lascia dentro di noi, che non ne siamo poi nemmeno così consapevoli. La Mazzucco lo è. “Siamo stati troppo numerosi come i Malavoglia” recita il testo. Un omaggio, consapevole il suo.
Nell’America dei primi del Novecento ne sbarcano a frotte, sono considerati quasi degli animali, poveri, sporchi, ignoranti e superstiziosi, italiani. Vita e Diamante hanno nove ed undici anni quando solcando le acque dell’oceano, seguono la rotta di un sogno, quello loro e di migliaia di compatrioti, il grande sogno americano. Arrivano ad Ellis Island sotto lo sguardo dell’androgina matrona che simboleggia quel sogno, la Statua della Libertà. Guardano al loro nuovo paese come ad una donna affascinante e maliarda, che seduce ed alle volte sbrana, una vedova nera. Il trattamento riservatogli allo sbarco fuga ogni immediato dubbio su ciò che li attende. Diamante è il nonno della Mazzucco, il suo è al contempo un romanzo biografico ed universale, racconta le vicende della famiglia Mazzucco, ma anche di tutti quelli che come loro fuggono dalla povertà. Si amano bambini Vita e Diamante, poi si perdono. Il figlio di Vita Dy è nella storia quello che la Mazzucco è come voce narrante. Dy cerca la verità e l’uomo che forse avrebbe potuto essere suo genitore. Molti sono i personaggi del libro, quasi volti a rappresentare l’umanità tutta, zio Agnello e la moglie Lena, Rocco, Coca Cola e tanti altri.
Con una pazienza certosina la Mazzucco cerca documenti, li raccoglie ovunque, archivi e soffitte non fanno differenza. L’autrice racconta la sua ricerca, stemperando in questo modo la forte carica emotiva del racconto, non vi è invadenza però, ed il rischio al contrario era alto. Il libro è delicato e crudo, ben scritto. Il passaggio dalla terza persona, usata nella narrazione, alla prima, quando l’autrice ci racconta il suo percorso a ritroso fino alle radici, rende la lettura un moto ondoso di partecipazione e curiosità. Il finale è svelato presto, forse un po’ troppo, questo però non leva gusto alla lettura.
Quando un romanziere si prefigge il compito di accantonare imprese cavalleresche, amori da favola o alieni, e così via, si accinge ad un’impresa notevole. Come Verga, con uno stile ovviamente diverso, la Mazzucco sceglie di raccontare la vita di chi crede di non averla una vita degna di essere portata a conoscenza del mondo. I miserabili sono i suoi eroi. Termine orrendo, che forse più che ai meno fortunati, si addice a chi si è reso responsabile dello scempio alla tomba del maestro.