“Un pianeta dove era sempre notte, dove non si udivano i rumori del traffico cittadino, ma solo il rotolare delle biglie, lo schiocco delle stecche, i passi fruscianti dei giocatori. Qui non si aspettava la Ragione ma la Sorte, non il Perché ma il Chissà. ..Si aspettava qualcosa, ma sopratutto si imparava a non aspettare nulla”.
È un mondo visionario quello di Benni, come sempre nei suoi racconti. Nel senso più vero della parola, perché come una visione si materializza davanti ai nostri occhi, avvolta da una nube densa e inebriante, l’immagine di luoghi mai esistiti eppure familiari, che si nascondono nella nostra coscienza, lì dove hanno sempre abitato. Nella sua ultima raccolta però, Pantera (edito Feltrinelli, 2014), il surreale raggiunge vertici altissimi, di un’astratta realtà che l’immagine la cattura, la seduce, la conquista, in un amore travolgente di quelli che non danno il tempo di capire cosa sia successo.
Due storie al femminile, due protagoniste intriganti e malinconiche, di un fascino misterioso e tenero, che Benni descrive con pochi tratti decisi e raffinati, vestite perfettamente dalle illustrazioni di Luca Ralli (sopra una foto tratta dal libro), che aggiungono al racconto un senso di compiutezza. Pantera e Aixi si completano e si sorreggono nella loro diversità. Come due facce di una stessa medaglia, galleggiano in un mondo solitario, in cui la pesantezza del vivere cerca un luogo silenzioso per curarsi le ferite. Così l’Accademia dei tre Principi diventa un non-luogo oscuro, degradato, sporco, eppure l’unico spazio in cui il silenzio lascia il tempo per riflettere. Un micro-mondo in cui l’imperfezione umana si mostra nelle sue sfaccettature. Una distesa di laghi color smeraldo si estende infinita, quaranta biliardi avvolti da una nebbia nella cui penombra personaggi oscuri muovono le loro stecche. Il rumore delle stecche è l’unico scandire del tempo, e sullo sfondo della variegata fauna umana, la vita segue il suo corso incurante. Non è la Ragione a governare il caos, ma la Sorte. Non c’è regola che valga, e una volta imboccata una strada, il cammino non prevede retromarcia.
La formula di Benni è ancora vincente, lontana dall’esaurirsi dopo il successo di opere come “Saltatempo” o “ Bar sport”, per citarne alcuni. Al contrario, la sua tecnica sembra essersi raffinata, e la sua scrittura aver raggiunto uno scalino più alto, una sicurezza più matura che si riscontra nella certezza con cui maneggia il gioco tra reale e immaginario. La visione dei suoi personaggi diventa concreta, tanto che se incontrassi “Borges” (uno dei personaggi di Pantera, Ndr) per strada, non mi stupirei di sentirgli elencare minuziosamente i miei ultimi pasti. Le sue protagoniste non sono eroine, imbattibili donne dotate di super poteri, ma fragili creature, principesse malinconiche che incidentalmente illuminano le vite di coloro che le incrociano, ed è questo elemento a renderle reali nella loro misteriosa e sensuale astratezza.
Esiste un confine tra la realtà e la narrazione, fortunatamente c’è ancora chi è capace di infischiarsene.