Siamo mortali, mortalmente spaventati
tremiamo come volpi e cani
diventando la muta di noi stessi.
Basta un sogno sbagliato
e la luce rode dove non c’è riparo.
Sbandiamo tra gli oggetti sperando siano veri.
Stringiamo gli occhi provando a dormire in pieno giorno
dicendo: qui e pensando là
offrendo sacrifici mentre spostiamo i mobili
e tronchiamo con le forbici i gerani.
La sera allunghiamo i tavoli per gli ospiti
e dal legno cominciamo ad appassire.
Posiamo con cura i tovaglioli
e dal lino si sollevano demòni.
Voltando la testa qui, pensiamo: là
come succede davvero a ogni inseguito.
Spalanchiamo finestre con la scusa del fumo.
Il vento sa d’immondizia, ma è una tregua.
Lo stesso vento nella bellezza è una rovina.
La saggezza ci confonde come cera.
Stentiamo a respirare.
Restiamo immobili.
Il sangue scatta tra la nuca e la schiena
torniamo serpi
ci puliamo intrecciandoci.
Antonella Anedda
Liberarsi delle parole. Anche in poesia si può.
L’ultima raccolta di Antonella Anedda, Salva con nome, è il tentativo ben riuscito di andare al di là degli involucri che circondano le cose, i nomi.
Un’opera sapientemente costruita che coniuga stati d’animo contrastanti, ma nello stesso tempo complementari. La Anedda cerca di creare un varco tra il finito e l’indefinito, di proiettare se stessa e i suoi lettori in uno spazio aperto e senza tempo.
È come se la nostra poetessa cercasse di recuperare un soffio di vita autentico nell’angustia dell’ordinario, proprio perché troppo soffocata delle cose contingenti. Soltanto svincolati dalla provvisorietà del materiale possiamo accedere alla vita vera.
Coro- La paura ci rende più forti? costituisce un componimento chiave all’interno della raccolta. Perfettamente in linea con quanto premesso, questi versi descrivono la precarietà e il senso di incertezza che ci caratterizzano e che in qualche modo ci condannano.
Spalanchiamo la finestra con la scusa del fumo.
C’è bisogno d’aria. L’aria che il chiuso delle nostre vite barricate nelle nostre case ci toglie. Il vento, seppur sporco e inquinato, è una tregua.
Poche battute, che si servono di un linguaggio quotidiano e immediato, schematizzano e scandiscono le nostre sterili esistenze.
Una terribile claustrofobia ci asfissia. Necessitiamo di una dimensione reale e meno stereotipata. Ecco l’esigenza di liberarsi del nome facendo defluire liberamente le immagini.
Salva con nome, espressione mutuata dalla ormai scontata pratica informatica, è l’operazione che la Anedda tenta di fare con gli elementi della nostra esistenza. Una volta riscattato uno stato atemporale e naturale ciascuna cosa, a seconda del caso, chiede di perdere o di acquisire un nome.
Un’opera imponente e innovativa che apre uno scenario interessante all’interno della nostra letteratura. Partendo dalla confusione e dal chiasso delle cose materiali, Antonella Anedda ci porta a dialogare nel silenzio, ad ascoltarlo, ad osservarlo, a viverlo.