Eccola, sul tavolo della cucina con ancora il suo leggerissimo abito bianco.
I capelli neri, le mani sui fianchi, un sorriso che nonostante la morte è ancora lì.
E’ così che l’han trovata. Bella e senza sangue, è morta sul colpo.
Parlano di suicidio.
Dicono che s’è buttata dal balcone.
Qualcuno l’ha vista.
Dice che ha esitato un po’ a farlo.
Forse non lo voleva fare davvero.
Forse ci stava ripensando.
Chissà cos’ha provato quando ha toccato terra.
Quando era ancora viva, in aria, ma ormai tardi per salvarsi.
Non voglio che me la portino via.
Che ne sarà di me, dei nostri figli, la casa che curava con estrema accortezza.
L’ho raccolta da terra, l’ho presa in braccio come una bambina, non come mia moglie morta.
Ancora non me ne capacito, so che è morta ma non lo so davvero.
Ho bisogno di tempo.
So che ora sto negando tutto.
Sono tranquillo, lucido, non tremo.
Piano piano prendo consapevolezza di tutto ciò.
Non può essere morta, mi dico mentre la guardo.
Non un filo di sangue, i gomiti sbucciati, il vestito strappato.
Ma è lei, ancora la riconosco.
La morte non l’ha resa irriconoscibile.
E’ bella. Ancora.
Perché l’ha fatto?
Perché l’hai fatto?
Josephine.
Forse l’hai fatto per i nostri silenzi.
Per quando tornavamo dal cinema o da una cena e non riuscivamo più a dirci una parola, chissà come mai.
Tu con le mani in mano, che camminavi poco più avanti di me, guardandoti attorno come meravigliata, di cosa non lo so visto che c’erano solo portoni e strade e tabacchini chiusi e negozi chiusi e saracinesche abbassate e trattorie ancora aperte e le piazze e i lampioni e qualche macchina che passava e i motorini che suonavano.
O per i litigi, le incomprensioni, tu ed il tuo indice puntato contro di me, “non mi capisci, sei tale e quale a tuo padre”, e se andava bene mi lanciavi dalla cucina qualche forchetta o coltello, ben attenta a non colpirmi ma a mirare la parete, solo per spaventarmi, per mostrarmi la tua rabbia.
Per le volte che mi parlavi e non ti ascoltavo, per le proposte che avanzavi ed io bocciavo, il disordine, i calzini a terra, e mai una volta che lavassi i piatti al posto tuo.
La crisi economica, lo sperpero dei miei soldi, dei nostri soldi.
Le preoccupazioni che ti davo, i miei ritardi quando dovevamo uscire, la macchina che mai ti pulivo e te che andavi al lavoro con i vetri sporchi ed i cerchioni delle gomme pieni di fango.
Josephine.
Ti sarai buttata di sotto per esasperazione.
Per poco amore o fin troppo, e non ricambiato.
Mi lasci qui a badare a me stesso, cosa che sai bene non so fare.
Ho cercato di distruggerti per una vita intera, senza volerlo.
Perché sono crudele, un uomo non esemplare, un marito che era meglio non si sposasse, un padre che era meglio non avesse figli.
Josephine.
Ecco, la sento.
La sento la sofferenza.
Sta arrivando.
Il dolore.
Il pianto.
Il cuore che mi si frantuma.
Eccolo eccolo eccolo.
Così improvviso.
Ecco le lacrime, la sensazione di smarrimento, le mani che mi tremano, le ginocchia che cedono.
Aaaah.
Sono a terra, tocco il freddo pavimento.
Tu lì, ancora lì, sempre lì sul tavolo, come distesa in una bara- dove dovresti andare?
Josephine.