Milano, gennaio 1901
I carri ammorbidiscono il rumoroso rotolare sulle basole, lì, davanti al Grand Hotel et de Milan. Perché mani pietose sanno che oltre il portone, oltre i tendaggi e i vetri, il Maestro deve riposare.
Allora paglia, ancora paglia, altra paglia, perché il Maestro dorma, perché la Musica lo visiti ancora, perché l’Italia che ha contribuito a fare con le sue opere non lo perda.
Almeno lo conservi ancora un poco.
Perché Giuseppe Verdi è vecchio, vecchio e stanco.
Né Violetta né Gilda né nessuna delle donne vive o solo musicate che l’hanno attorniato durante un secolo lunghissimo e difficile lo potranno o sapranno trattenere.
Forse è un’altra musica che adesso lo chiama: la voce di Giuseppina, di Margherita, dei suoi figli perduti… o i primi accordi su un organo da chiesa, alle Roncole, ancora bambino.
I carri passano, rallentano, rotolano sulla paglia come su un tappeto. Sembrano chiedere scusa.
O forse le ruote presagiscono – dopo quante, e tanto grandi note! – il grande silenzio.