Due giorni prima
-Perché hai detto alla signora Cesina che hai dieci anni se ne hai otto?.
Daniel non rispose era troppo concentrato sulla berlina bianca che li aveva appena sorpassati. Si chiese se andasse alla stessa velocità di un aereo. Quando l’auto diventò un puntino in lontananza rivolse gli occhi verdi verso sua madre: Sai l’età non è solo una questione anagrafica. Ma è quella che senti di avere. Non ricordava dove avesse sentito quella frase, ma gli aveva fatto un certo effetto. Daniel la pronunciò con un tono molto sicuro di sé che non mostrò debolezze neanche davanti alla smorfia di disapprovazione della madre. Era piuttosto soddisfatto quando usava quel tono. Si sentiva adulto nonostante i suoi otto anni che cercava di nascondere agli altri e a se stesso. Daniel avrebbe fatto qualunque cosa per diventare subito maggiorenne e in mancanza di possibilità si arrangiava fingendo di essere più grande. Ma non era credibile. La sua magrezza non lo aiutava e la cosa era peggiorata quando aveva perso i denti davanti. Durante una maledetta partita di calcetto gli era arrivata una pallonata sul muso. Ragione ineccepibile secondo Daniel per chiudere definitivamente con il calcio e pensare seriamente a diventare pilota di aerei.
-Tesoro, Daniel non sopportava di essere chiamato tesoro era roba da bambini, ma fece finta di nulla -Stai attraversando il momento più bello della tua vita. E poi vedrai il tempo passa in fretta: dormi, guardi la T.V, giochi, studi e d’improvviso di ritrovi più grande.
La madre stava cercando di essere convincente. Ogni volta che cercava di esserlo, si passava la mano sulla fronte come per frenare il flusso di tutti pensieri capaci di far affiorare ogni argomentazione contraria. Il gesto generalmente innocuo stava per provocare un disastro: quando la madre staccò la mano dallo sterzo per toccarsi la fronte per poco non andarono a finire nel guardrail.
Mamma guarda avanti! Daniel era stizzito. E non era solo per via dello spavento che si era preso. Fosse stato per lui potevano anche direttamente andare all’altro mondo. La causa della stizza era un’altra: non ne poteva più di studiare, di andare a scuola, di rimpinzarsi di letture, di dormire, di guardare ogni minuto l’orologio in attesa che passasse il tempo. Le ore, salvo quelle spese a montare aerei, erano noiose e interminabili. E detestava chiunque- compreso sua madre- sostenesse che l’infanzia fosse il momento più bello della vita. Lui non era affatto d’accordo e sentiva ogni giorno di più di non aver nulla a che fare con i bambini. Del resto aspirava a ben altro: da qualche mese si era messo in testa di fare il pilota. Ma per iscriversi all’accademia bisognava avere almeno 18 anni L’attesa era praticamente eterna.
-Dai Daniel non fare quella faccia! Lo so che pur di fare il pilota saresti disposto anche a falsificare il tuo certificato di nascita. La madre si interruppe per guardarsi nello specchietto retrovisore e dopo essersi toccata un piccolo neo sul mento aggiunse:Sabato mattina quando saliamo in aereo puoi andare nella cabina di pilotaggio. Ti va?
Daniel trattenne il suo entusiasmo. Lo annoiava abbastanza andare a trovare i nonni, ma l’idea di entrare nella cabina gli sembrava una meraviglia. Non ci aveva mai pensato! Gli venne in mente un piano perfetto. Chiuse gli occhi, fingendo di dormire e non pensò ad altro fino a casa. Daniel era certo che sabato sarebbe riuscito a guidare un aereo.
Il giorno del piano.
Avere otto anni, questo doveva ammetterlo, ti consentiva una serie di facilitazioni: Daniel non ci mise molto a sorpassare quel maledetto check- in, a salire sull’aereo e a sistemarsi direttamente nella cabina di pilotaggio. E anche l’accoglienza dei due piloti fu quella che può riservarsi solo ad un bambino. Gli indicarono con una precisione elementare tutti i comandi. Uno di loro, quello con i capelli brizzolati, gli spiegò l’esatta posizione che un pilota deve tenere alla guida. Lo fece guardando di sottecchi l’altro, il pilota più giovane che tentava di intervenire. Daniel immaginò che fra i due ci fosse una gara continua a chi dovesse essere il migliore. La cosa lo divertiva da una parte, ma dall’altra lo preoccupava non capendo bene chi dovesse ascoltare. Daniel decise comunque di seguire le istruzioni di entrambi. Se c‘era una cosa in cui sapeva di eccellere era la sua istantanea capacità di apprendimento, lo dicevano anche a scuola.
Quando l’aereo iniziò il decollo Daniel riprese il suo posto. Era letteralmente imprigionato tra le poltroncine dei genitori. Ma non appena la hostess avvertì i passeggeri che potevano togliersi le cinture di sicurezza con un salto riuscì a scavalcare il corpo morbido della madre e si precipitò in cabina. Sentì dietro di sé l’eco della voce del padre che lo pregava di non disturbare. I due piloti lo accolsero con un sorriso stampato in faccia che a Daniel per un momento fece tenerezza. Ma il suo piano non prevedeva di farsi prendere da tenerezze. Allora mise la mano in tasca, con una disinvoltura che sorprese perfino se stesso afferrò la pistola che aveva rubato a casa dalla scrivania del padre. Daniel sparò due colpì prima alla testa del giovane, poi alla testa del pilota più anziano. Chiuse a chiave la cabina e premette forte il tasto verde su cui c’era scritto disattiva pilota automatico. Si mise le cuffie per non sentire le prime urla che provenivano dal corridoio.
Avrebbe voluto mettersi alla guida ma non riusciva a non staccare lo sguardo dal sangue che iniziò a fuoriuscire dalla bocca dei piloti. Pensò che se questa era la fine di un pilota era preferibile fare altro. Pensò che forse a otto anni hai ancora tutto il tempo per pensarci.
Ma una forza smodata lo trascinò per terra e arrivò un boato.