Nel 2011 lo scrittore, giornalista e critico letterario Francesco Durante ha dato alle stampe la sua ultima fatica: “I Napoletani”, edito da Neri Pozzi. Questo libro, come ci spiega l’autore, costituisce una specie di seguito più sistematico di “Scuorno”, edito nel 2008 da Mondadori, testo nato a seguito delle vergognose condizioni in cui versava Napoli, devastata dai rifiuti e non solo. Emblematica la copertina su cui campeggia un particolare tratto da Les Enfers di François de Nomé. Non sorprende, però, che uno scorcio d’inferno sia accostato alla città partenopea; già nel 1539, come ricorda l’autore, Bernardino Daniello scriveva che per compensare i doni meravigliosi concessi a Napoli, la Natura decise di dare questo paradiso ad habitare a diavoli; e così come aveva proposto, mandò a effetto.
Ambizioso il progetto dello scrittore: affondare le mani nel passato di una delle città più complicate, misteriose e affascinanti del mondo, riportare a galla l’identità napoletana originaria e confrontarla con la Napoli e i napoletani d’oggi. Così Durante divide il suo libro in due parti intitolate “Teoria” e “Pratica” e ce la mette tutta per farle comunicare tra loro. Interessante e piacevole soprattutto la prima, in cui si scopre la genesi di idee, espressioni, luoghi comuni che riguardano la città. Un esempio: il clima fin troppo piacevole, nemico dell’operosità, che predispone alla pigrizia con tutte le sue “possibili varianti”. Così si racconta dei bagni di Baia, dove le donne romane perdevano l’onestà, allentando i freni. Questo è quanto affermavano Properzio, Marziale, Cicerone, Ovidio, Seneca e altri, fino a Boccaccio che scriveva il sonetto “Perir possa il tuo nome, Baia e il loco”. Interessante notare come i poeti e gli scrittori scagionino completamente i soggetti, incolpando della trasformazione in negativo quasi esclusivamente lo spirito dei luoghi. Qualche pagina più avanti, lo scrittore si cimenta con una sorta di esegesi di “Caruso” di Lucio Dalla, individuando nel testo -nonostante palesi scorrettezze- un autentico spirito napoletano. Caratteristica facilmente riscontrabile anche in canzoni napoletane-non napoletane come “Don Raffaè” del grandissimo Faber e “Naufragio a Milano” di Paolo Conte, quest’ultima preferita da Durante. Originale anche il modo scelto per spiegare l’etimologia del termine vajassa, epiteto utilizzato dall’ex ministra alle Pari Opportunità, Mara Carfagna, nel corso di un litigio in Parlamento nel novembre 2010, con Alessandra Mussolini. E ancora Napoli e il cibo, Napoli e l’arte, Napoli e la letteratura, Napoli e il teatro, Napoli e il cinema, fino ad approdare -nella seconda parte- a Napoli e la politica, Napoli e la storia. La città che fu di Bassolino, che ora è di de Magistris dal quale ci si aspetta[…]qualcosa di molto simile a un miracolo. E ancora, la tentata ascesa al potere di Valter Lavitola, le caratteristiche peculiari delle papi girls napoletane e la poco conosciuta produzione poetica in napoletano dell’attuale Presidente della Repubblica. Ma Giorgio Napolitano appartiene a una generazione di politici che poco rispecchia quella attuale, ormai imbarbarita. Tuttavia un paese come l’Italia avrebbe bisogno di un ceto politico all’altezza della sua storia e della sua cultura. Napoli ne avrebbe ancor più bisogno, giacché oltre alla sua storia e alla sua cultura ha ormai poco altro[…]Io penso che la camorra e il malaffare possono imporre con più facilità il loro imperio degenerato là dove si sia meno pronti a capire la degenerazione.
Senza nasconderne i reali problemi, le mancanze, i difetti, i malanni che la investono, Durante compie un’operazione nello stesso tempo uguale e diversa da quella di un altro grande scrittore, Roberto Saviano. A quest’ultimo il merito di essere riuscito ad accendere i riflettori su uno dei tumori della Campania, usando un linguaggio “pop”, capace di arrivare alle masse; a Durante il merito di aver allargato i confini, di aver acceso e appagato la curiosità del lettore intorno a tutto ciò che significa Napoli e la napoletanità.
Un libro interessante, allora, anche per chi non è napoletano, ma solo curioso di capire e penetrare l’identità napoletana, nonostante -magari- la guardi con sospetto, paura e indignazione. D’altronde, lo stesso Junius Henri Browne, nelle pagine di Sights and Sensations in Europe (1871), scriveva che il golfo di Napoli gli appare come “una pura poesia del mare”; ancora: “ho cercato di restare indifferente a quella veduta”, “ma mi ha conquistato con la sua armonia, e depongo la mia umile ghirlanda d’ammirazione ai suoi piedi graziosi”.
E allora, leggere per credere.