Mi sorprende a questa luce, che io possa ancor campare, giorno e notte più non dormo; sono vuoti i miei pensieri per il sonno che mi manca e, per essere sincero, non m’importa quel che accade, né mi è caro né mi spiace. Mi sta bene quel che sia – gioia o pianto, come viene – non ho più fiducia in niente, vedo un mondo imbambolato ch’è sul punto di svanire;
Il libro della Duchessa ( The book of the Duchess) è un poema scritto da Geoffrey Chaucer nel 1368; il protagonista è un poeta che, non riuscendo a dormire, cerca di impegnare le sue notti insonni nella lettura di antiche storie; nei primi di 1334 versi, viene narrata la storia di Alcione e Ceice, proposta da Ovidio nelle sue Metamorfosi; l’amore è al centro della storia, una storia tragica, come ci insegna l’undicesimo libro ovidiano. Alcione regina e moglie perfetta è in attesa del suo compagno, partito per mare e purtroppo morto durante una tempesta; pazza di amore e di dolore, sfiancata da un’attesa di ritorno che si fa sempre più improbabile, Alcione invoca Giunone e ottiene da quest’ultima un sogno che l’avverte della realtà dei fatti: Ceice non tornerà, Ceice è morto in mare. Alla fine della lettura di questa struggente storia d’amore, il poeta- protagonista, invoca anch’egli Giunone o Morfeo (dio del sonno) affinché riesca a dormire, promettendo in cambio i doni più impensati…
Non avevo ancor finito di dir quanto ora vi ho detto, che di botto, non so come, sento voglia di dormire tanto che casco dal sonno sul mio libro, e mi ritrovo in un sogno così dolce qual mai prima avevo avuto, credo non ci sia nessuno che lo sappia interpretare..
Si entra così nel vivo del poema: il poeta si addormenta dunque, d’improvviso; nel suo sogno, si trova disteso sul letto, viene svegliato dal cinguettio di uccellini e dall’avviso di una caccia in atto. Preso parte a questa, si ritrova a seguire un cucciolo che sembra volerlo accompagnare in un bosco; qui il poeta si ritrova di fronte ad una natura rigogliosa e popolata di animali, quando tutto scompare e di fronte a lui un uomo, vestito di nero, appoggiato a un albero con il viso mesto: è un cavaliere. I due dopo qualche iniziale battuta, entrano nel vivo della conversazione: il protagonista-narratore vuole sapere il perché della tristezza dell’uomo comparso dal nulla. Viene a sapere che è disperato perché la Fortuna l’ha ingannato, ha giocato con lei a scacchi e ha perso la sua dama. Sconcertato da una reazione tanto disperata per una partita andata a male, il poeta è incredulo che la perdita di una pedina possa sconvolgere a tal punto un cavaliere di tanta prestanza.
Falso idolo è Fortuna, che ti volge le sue spalle; ha di mostro testa occulta, immondizia sotto i fiori. La più alta sua virtù è il mentire, sua natura; non ha legge né misura, non tiene fede e ti raggira: piange un occhio e l’altro ride. Porta in basso ciò che è in alto. L’assomiglia allo scorpione, falsa bestia ingannatrice, che di fronte ti fa festa e improvviso poi si volta per ferirti con la coda che t’inocula veleno.
Ciò che in realtà il cavaliere ha perso non è una semplice una partita a scacchi; ha perso l’amore perché quella dama, che portava il nome di Bianca, era reale così come la personificazione di Giovinezza, Amore, Fortuna, Natura e Verità. La disperazione dell’uomo è tale da far commuovere il narratore che cerca, invano, di consolarlo; mentre sta per cogliere il senso ultimo della partita a scacchi con la Fortuna e la perdita della donna, il protagonista si sveglia dal suo sonno. Perplesso per quanto successo, promette a se stesso di comporre un libro in versi sul sogno fatto, dal nome Il libro della Duchessa.