La capacità ormai morta di pubblicare un romanzo vivo. Questo è il genio dell’editore, questo è il fascio di luce che dovrebbe abbagliare chiunque comprenda a pieno la magia della cultura. Ed il vero editore, quello estinto, sì, non parla di Fortuna economica, parla di Fortuna culturale, quella per cui non c’è bisogno di avere una preparazione letteraria, quella per cui le lezioni di economia aziendale risultano superflue, quella per cui l’unica necessità reale si chiama intuizione.
Il fiuto naturale che riconosce il romanzo “sbagliato”, oltre quello giusto, il romanzo necessario alla cultura, affinché si fermi, si carichi e ricominci a danzare.
In molti oggi si domandano di che pasta siano fatte le case editrici, che divorano autori ed espellono romanzi, di cui nel breve periodo si perde ogni traccia; ecco, il tallone d’Achille è lì, dinanzi agli occhi di chiunque si fermi, per un istante, in questa battaglia della parola. L’innaturale capacità dell’editore di scegliere, costruire e distruggere in un tempo sufficiente solo a riempire scaffali e casse, e alleggerire menti e storia.
Giangiacomo Feltrinelli ha detto: “Un editore deve pubblicare libri che poi devono essere venduti. Quindi un editore ha a che fare con un apparato commerciale, e i problemi tecnici sono molti, ma forse, anche qui, oltre a quella parte di se stesso che non so definire, un editore ha bisogno del naso che fiuta la necessità…”.
Seppur dunque la strada da percorrere per arrivare a tracciare il romanzo sia rivestita di un manto di carta superflua e discontinua, l’intuizione giusta rimane l’obiettivo. Affidarsi al tempo e alla penna di passaggio per ricercare la giusta motivazione. Quanto di corretto? Lo scrittore, oggi, è nulla così come nulla è l’editore che ne vende ingiustamente le opere, opere ingigantite, denigrate, mortificate, gonfiate, opere illusorie che figurano come comparse e che nessuno, forse, ricorderà poi.
Allora non chiedete cosa rappresenti oggi l’editoria perché, oltre ad un passato illustre, non vi è presente che possa descriverne i caratteri primi. E se l’aspetto commerciale è balzato ai primi posti della classifica delle priorità editoriali, l’aspetto creativo è sicuramente quello meno curato, se non addirittura dimenticato. Secondo l’AIE (Associazione Italiana Editori), nel 2010 i titoli pubblicati sono stati 57.558 (a cui vanno aggiunte centinaia di copie self published), mentre le case editrici attive presenti in Italia sono 2.500 (sono 7.009 invece le case editrici censite), numeri che indicano, nonostante le notizie contrastanti che giungono dai media quotidianamente, una crescita minima ma costante degli ultimi anni del settore editoriale. Numeri che indicano altresì una fame di rivalsa di un settore che ha vissuto gli anni più bui della crisi economico–culturale del nostro paese, una crisi che forse andrà riassorbendosi per quanto riguarda l’aspetto commerciale e che però diverrà intrinseca per quanto riguarda quello umanistico. Migliaia di autori che si immettono in un mercato saturo, proponendo materiale riciclato e idee consunte.
Ciò che è immobile non è dunque il mercato ma la cultura, la cui “Fortuna” non si costruisce sulla quantità ma sulla qualità. È il pensiero che non si evolve, la curiosità che si nasconde e l’intuizione che muore. Un intuizione che, se anche ci fosse, rischierebbe comunque di perdersi nel mare di carta disegnato ad hoc dai titani dell’economia.
La realtà non è una, la realtà non è altro che il preludio al futuro. La realtà è illusione se non ha passato, e inutile se non ha futuro.
Uomini sognatori, piccoli editori, grandi gruppi editoriali… uno, nessuno, centomila…
“E allora: un editore è niente, è un veicolo che può anche definirsi una carretta, ma un editore può anche affrontare il proprio lavoro sulla base di un’ipotesi di lavoro molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare, e cambierà”.
(Giangiacomo Feltrinelli – Tratto dalla rivista “King”, 1967)