Anita le sputò proprio al centro del viso, con gigantesca soddisfazione, la guardò storcere il naso e pulirsi con un kleneex. Non poteva certo schiaffeggiarla, era troppo vecchia per uscire vittoriosa da un corpo a corpo, ma sapeva che quella sgarbata e volgare infermiera non avrebbe potuto dare il via ad una zuffa. Odiava il suo lavoro, Anita ne era certa, tuttavia non poteva perderlo e quindi dovette accogliere la saliva della nonnetta in silenzio, con uno sguardo carico d’odio che non fece che accrescere in Anita il senso di vittoria per il suo gesto. “Così impari” pensò la donna canuta e si trattenne all’ultimo momento dall’alzarle il dito medio. Quella insignificante femmina dal camice verde la strattonava continuamente, la trattava come un oggetto, come se la vecchiaia l’avesse trasformata in un soprammobile, anzi peggio, visto che Anita era certa che quell’essere avesse la casa piena di ninnoli di vera ceramica di Capodimonte made in China, che di sicuro trattava come reliquie.
Anita era vecchia, una Vecchia, e rivendicava l’aggettivo con fermezza, anche se il nuovo corso delle cose di un Paese che non capiva da tempo aveva deciso di definirla in altri modi: anziana, appartenente alla terza età etc etc. Che buffonata. Lei era una vecchia e basta e se l’era guadagnato quello stato, riuscendo a non morire per tutta la vita. Che noia in quella casa di cura, però era primavera ed allora decise di godersi il calore del sole pallido d’aprile, quello che non brucia, che asciuga i polmoni e non fa sudare, quello è per tutti, pure per le ottantenni come lei. Avvicinò la sedia al vetro, aprì uno spiraglio della stupida finestra che era di quel tipo che nella testa definiva anti-suicidio, non ne conosceva il nome in realtà, ma ne intuiva la funzione. Aspirò il profumo dei fiori, si scaldò anima e viso e si perse nei ricordi, quelli che le erano rimasti, scelse quelli belli e si abbandonò alla visione del tempo che fu.
Benito andava a trovarla spesso, con la moglie Veronica ed il figlio Matteo, un delizioso bambino di 6 anni, sveglio come una volpe, affettuoso come un cane. Il suo unico nipote era libero, ed era il primo in famiglia, da un nome ingombrante. Che cruccio era per lei aver ceduto alla volontà del marito, quel nome ridondante che aveva dato al figlio la tormentava spesso, a chiunque Benito tendesse la mano per presentarsi lo guardava un attimo dopo con sospetto. Non era rarità in tempi remoti ma adesso nessuno avrebbe fatto quella scelta senza un preciso significato. Anche nel loro caso in effetti era stato così, ma lei non voleva, davvero non voleva. Quei pensieri la rattristavano, la incupivano, poi la risata argentina di Matteo irrompeva come fosse portatrice della furia di un uragano e risucchiava in un vortice tutto il male. Anita allora lo stringeva al petto, gli dava di nascosto almeno 5 caramelle gommose, e lo baciava, lo annusava. Che odore stupendo, lei che oramai puzzava di vecchio poteva sentire sulla pelle del bambino tutto il buono dell’infanzia. Avrebbe giurato che quel piccolo uomo profumasse naturalmente di cannella.
Benito e Veronica la tenevano al corrente di tutto, la vita nel condominio che aveva lasciato per necessità, la salute dei parenti e gli eventuali decessi, il loro lavoro, la casa e le incombenze. Quanto le dispiaceva avessero dovuto prendere una babysitter, se solo avesse avuto la gioia d’un figlio non così tardi tutto sarebbe stato diverso. Invece il Signore le aveva fatto la grazia quando oramai non aveva più speranza. Era una donna pia e mai avrebbe osato esprimere il suo rammarico ad alta voce, il figlio alla fine l’aveva avuto no? Di che poteva lamentarsi allora. Dio sa quel che è giusto, il marito lo sapeva, la casa di cura lo sapeva, Benito e Veronica lo sapevano.
Sbatté le palpebre, una due tre cento volte, era tutto quel che le rimaneva, un movimento di pelle involontario. Avrebbe voluto sputare, guardare il sole, lasciarsi accarezzare dai raggi, parlare con Benito, baciare Matteo, dire a Veronica come cucinare davvero bene le zucchine, dirle quel segreto che mai le aveva detto, come usare la menta…
Immaginava tutto questo tutto il giorno, da tre anni, immobile in quel letto, senza movimenti e senza parole e pregava. Pregava che Benito capisse, che le leggesse negli occhi la sua supplica.
Ti prego, staccami la spina”.