È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre.
Così, William Shakespeare descrive la gelosia in una delle sue tragedie più famose: Otello.
Già, la gelosia: un fastidio, una sensazione di disagio, un’ossessione e, molto spesso, una malattia. Questo sentimento è da sempre argomento privilegiato nell’arte e nella letteratura. Esso parte dall’idea che ciò che abbiamo di più “caro” potrebbe andare perso da un momento all’altro; si lega, quindi, al concetto di possessività, alla possibile perdita di ciò che si ritiene proprio. Si distingue, tuttavia, un tipo di gelosia che è inseparabile dall’amore e che è sempre presente a livelli accettabili. Anzi, se non ci fosse si potrebbe addirittura dubitare della veridicità del sentimento. E poi esiste un tipo di gelosia patologica, che si manifesta in assenza di qualsiasi motivo valido e che logora il soggetto e coloro che lo circondano.
Roland Barthes scriveva:
Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.
Gelosia normale, competitiva, proiettata o delirante; in ogni caso, un sentimento antico quanto l’uomo.
Saffo, poetessa greca nata intorno al 640 a.C. nell’isola di Lesbo, in uno dei suoi componimenti più famosi, oggi conosciuto come “Ode della gelosia” così scriveva:
Mi sembra uguale agli Dèi
quell’uomo che ti siede davanti
e vicino ti ascolta
mentre parli con dolcezza
e ridi amabilmente.
Questo
mi fa balzare dal petto il cuore,
e appena ti vedo
non ho più voce;
ma la lingua silenziosamente
s’inceppa e un fuoco sottile
corre sotto la pelle,
con gli occhi non vedo più niente,
mi rombano le orecchie,
un sudore freddo mi avvolge,
un tremito tutta m’afferra,
più verde dell’erba divento,
e già quasi vicina a morire
sembro…
ma tutto è sopportabile
poiché…
Il componimento è giunto incompleto, ma nella parte conservata la poetessa si rivolge probabilmente a una delle ragazze del Tiaso, che guarda il promesso sposo e con lui scambia effusioni. La vista della persona amata, sfiorata da un altro, provoca una serie di sintomi che sfiorano quasi l’attacco di panico.
Catullo, nel carme 51, riprende e rielabora i versi di Saffo:
Quegli mi sembra essere pari ad un dio, quegli – se è lecito – superare gli Dei, che sedendo a te rimpetto ininterrottamente ti guarda e ascolta dolce ridente. Questo invece a
me misero tutti sopprime i sensi: poiché, non appena, Lesbia, io ti guardo, più non mi resta sulla bocca filo di voce,
ma la lingua è torpida, sottile per le membra corre una
fiamma, di loro proprio suono tintinnano le orecchie, si
coprono gli occhi di duplice notte. Ma l’ozio, o Catullo, ti fa
male; per l’ozio tu ti esalti e troppo agogni…
trad. di Augusto ROSTAGNI, 1964
Anche quest’ode contiene un “elenco” di tutte le sensazioni e i sentimenti che la gelosia e l’amore provocano in chi è costretto a vedere la donna amata con qualcuno di estraneo. Nella descrizione sono coinvolti tutti i sensi: la voce scompare, le orecchie rombano, la vista si annebbia, brividi percorrono il corpo. E’ molto particolare il fatto che non vi sia alcuna indicazione di odio dovuto all’invidia ma, anzi, colui che ha la fortuna di vedere e ascoltare da vicino la donna è ammirato e posto su di un gradino più elevato.
Tuttavia, la gelosia, anche quella più sana, finisce per essere fonte di sofferenze, spesso immotivate. È così difficile costruire qualcosa di sano e bello, che quando ce lo troviamo davanti, tra le mani, la paura ci assale; e quando riusciamo a scorgere qualcosa di speciale, il terrore che ci sia qualcun altro pronto a portarcelo via è una naturale conseguenza. Si fa presto a dire “fiducia”. L’unica arma e l’unica ricchezza di un rapporto vero è l’esclusività. Un Amore coltivato non lascia spazio a terzi, è una piccola fortezza fatta di due cuori. Amore è insostituibilità…
Mi torna in mente, a questo proposito, la storia del Piccolo Principe e della sua Rosa
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. “Voi non siete per niente simili alla mia rosa[…]Voi siete belle, ma siete vuote. Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messo sotto alla campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi. Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche, qualche volta, tacere. Perché è la mia rosa”. E ritornò dalla volpe[…]“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. “E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…”. “Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”. “Io sono responsabile della mia rosa.”