Benchè suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell’esercito, Hervè Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile(…) Hervè Joncour aveva 32 anni. Comprava e vendeva. Bachi da seta.
E’ il 1996 quando Alessandro Baricco decide di scrivere questa romanzo, Seta, dove il protagonista è il francese Hervè Joncour, la cui vita viene stravolta quando comincia per affari a viaggiare alla ricerca di uova di bachi che sarebbero poi diventati seta.
In una prosa sintetica Baricco dissemina quà e là informazioni sul protagonista, su Lavilledieu, il posto dove vive, su Helene, sua moglie, su Baldabiou, l’uomo che gli aveva fatto cambiar strada facendolo diventare produttore di seta, dopo aver annunciato il progetto al padre del ragazzo, sindaco della città con poche battute
Baldabiou prese Hervè Joncour e lo portò dal padre;
“Sapete chi è questo?” “Mio figlio” “Guardate meglio” “Mio figlio Hervè, che fra due giorni tornerà a Parigi dove lo attende una brillante carriera nel nostro esercito, se Dio e sant’Agnese vorranno” “Esatto. Solo che Dio è occupato altrove e Sant’Agnese detesta i militari”. Un mese dopo Hervè partì per l’Egitto.
E l’ Egitto è solo il primo viaggio, di una lunga serie, del giovane Hervè il quale lasciò che a scrivere il suo destino fosse l’uomo dalle mille storie e dalle poche parole, Baldabiou.
Le migliori uova di bachi però erano più lontane dell’Africa e certamente il viaggio sarebbe durato più di due mesi: erano in Giappone dove la pebrina non era ancora arrivata ad ammalare le uova e dove si produceva la miglior seta di tutto il mondo “tenere tra le dita un velo tessuto con filo di seta giapponese era come tenere tra le dita il nulla”.
Joncour partì per quell’isola lontana, pericolosa, sconosciuta, per più di una volta; e per più di una volta Baricco ne illustra il viaggio, con precisione e ripetitività.Lì trovò Hara Kei, capo di un villaggio, col quale cominciò a trattare: uovo di bachi da seta per oro. E lì trovo lei, una giovane donna vicina ad Hara Kei, “i suoi occhi non avevano un taglio orientale e il suo volto era il volto di una ragazzina”.
In tutto il libro non c’è un momento di vera vicinanza tra i due, se non attimi fugaci, respiri vicini ma nulla che possa avvicinarsi ad una relazione; i loro occhi però, si rincontravano come due ballerini in una danza segreta, senza parole, ma in un silenzio intenso, avvolgente, profondo.
Hervè tornò a casa e riprese la sua vita, arricchita di certo dalle uova diventeta seta, ritornò dalla moglie, dal suo paese dove nulla era cambiato. Lui però era cambiato.
Ritornò in Giappone ancora una volta, portando con sè un foglio che quella ragazzina dal taglio degli occhi non orientale le aveva dato una volta, di nascosto, in silenzio.
Piccolo foglio. Pochi ideogrammi disegnati uno sotto l’altro. Inchiostro nero. “tornate o morirò”.
E lui tornò, in quel paese, per riprendere altre uova, ma soprattutto per ritrovare quegli occhi.
Stavolta però il villaggio era andato distrutto, la guerra aveva raggiunto quei luoghi incontaminati, quell’acqua piena di vapore, quel silenzio che toccava l’anima, era arrivata e aveva lasciato la fine; a Jancour tornarono in mente le parole di Baldabiou quando a proposito del Giappone, quella volta del primo viaggio
” e dove sarebbe di preciso questo Giappone?” Baldabiou alzò la canna del suo bastone puntandola oltre i tetti di Saint-August . “Sempre dritto di là” disse ” Fino alla fine del mondo”.
E quella volta Hervè l’aveva vista da vicino la fine del mondo.
Poi tornò di nuovo nel suo mondo, di nuovo da sua moglie Helene, nel giardino per lei costruito, nelle filande parigine, tornò e portò con sè quegli occhi di ragazza non orientale, li portò dentro, avvolti in un silenzio, nel silenzio del Giappone.
Infine una lettera, inchiostro nero, ideogrammi su sette fogli: solo dopo la morte della moglie saprà davvero chi fosse stata l’artefice di quelle parole. Solo allora.
Ogni tanto, nelle giornate di vento, scendeva fino al lago e passava ore a guardarlo, giacchè disegnato sull’acqua, gli pareva di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve, che era stata la sua vita
Nel 2007 c’è stata una trasposizione cinematografica del libro, Silk, di Francois Girard con le musiche di Sakamoto che però non riesce a rendere giustizia al libro, a trasmettere l’idea del sogno segreto e impossibile di Hervè, il tutto avvolto nel pregiato tessuto della seta giapponese che era come tenere tra le dita il nulla.