Io non so perché mi salvò la vita, forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata… Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora?
Quanti di noi amano davvero la propria vita? Quanti vorrebbero poter cambiarla con quella del vicino o di un riccone o semplicemente con quella di un girovago? I sentimenti che portiamo dentro i nostri cuori continuano ad essere per noi fonte di quella vita che ci porta in grembo, grazie a loro possiamo dire d’esser realmente sani, vivi e vegeti. Non c’è alcun empatia in un androide e questo lo sanno bene i protagonisti fuorilegge di “Il cacciatore di androidi” rinominato poi “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”.
1992 la guerra mondiale ha distrutto ogni cosa e gli uomini hanno deciso di scappare nello spazio. Chi ha avuto la fortuna di salvarsi sogna di possedere un animale vivente, e le compagnie producono copie incredibilmente realistiche di gatti, cavalli, pecore e chi più ne ha più ne metta. Anche l’uomo è stato duplicato. Gli androidi sono perfetti e indistinguibili dai loro parenti “umani” involucri capienti di quei particolari tipici della razza terrestre ed è per questo che sono banditi dalla Terra. Ma con piacere essi decidono di confondersi tra i loro simili a sangue caldo. A San Francisco vive colui che ha l’incarico di catturare questi esemplari fuorilegge, ma i dubbi intralciano a volte il suo mestiere, spingendolo a chiedersi cosa sia davvero un essere umano.
Deckard è quest’uomo. Umanoide e sofferente è il centro della riflessione del libro. Egli prova empatia puramente umana per gli androidi, attrazione e profondo amore per Rachael, un androide; di quel che provano loro però poco importa e non perché sia un cinico insensibile ma perché, il fatto che essi si sentano detentori dell’unica vera essenza della “razza umana”, deve sembrargli intollerabile. Gli androidi vanno eliminati perché minano quest’ identità; se la creazione dell’androide eguaglia o supera in umanità l’uomo stesso, allora l’essere umano non ha neppure ragione di esistere sentendosi tale.
Una questione complessa su cui riflettere attentamente. Una paura inconscia del diverso, dell’altro, paura che possa portarci via l’unica vera certezza che abbiamo quella d’esser vivi, d’esser finiti e d’essere umani.
Da questo magnifico libro di Philip K. Dick è stato tratto l’ancor più affascinante Blade Runner di Ridley Scott. E detto ciò, credo che non servano altre parole, ma vi abbandono con un’ultima citazione veramente fantastica:
La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo. E tu hai sempre bruciato la tua candela da due parti.