Questo “libricino” di Antonio Moresco sembra voler raccontarci una storia montana. Invece scava molto più a fondo, senza che il lettore se ne accorga.
Il protagonista senza nome e senza volto di questa storia penetrante è un eremita arroccato in solitudine sui monti di una qualche valle ignota. Di lui non viene descritto nulla se non l’indispensabile, la sua anziana età e il suo lento camminare. Si chiede se quello che vede lo vede veramente, se qualcuno nell’universo sa che esiste quest’uomo solo che vaga nel bosco spiando il quotidiano vivere degli esseri che lo popolano. I suoi rapporti umani sono insignificanti rispetto al legame che intreccia con la natura circostante; gli interrogativi dell’esistenza si polarizzano agli estremi delle sue riflessioni e qualunque sforzo umano sulla terra viene ricondotto a processi naturali. La foresta è lo specchio del tempo, che imperturbabile e silenzioso passa leggero nella vita dell’uomo.
Moresco si fa carico di un compito difficile, la descrizione dell’uomo attraverso la natura circostante. L’osservazione micro e macroscopica degli impercettibili mutamenti degli arbusti, del gattonare delle creature più indifese e del volgere delle stagioni sono la principale occupazione del solitario eroe montano. Il dialogo con piante e animali non si ferma mai in un costante intreccio fra uomo e paesaggio.
Certe volte mi fermo di fronte a uno di questi alberi e lo guardo.
«Ma come si fa a vivere così?» gli domando. «Agli uomini non è possibile: o sono vivi o sono morti. Così almeno pare…»
Non mi risponde.
Tutto si spiega intorno a lui attraverso il linguaggio della natura, eccetto una lucina che si accende aldilà della valle al calar della sera. A tentoni cerca una buona soluzione all’enigma che gli si propone tutte le notti: non è l’illuminazione casalinga di una tana in pietra come la sua; non è un ufo, anche se uno strambo allevatore è convinto che lo sia. Un giorno smette di fantasticare, parte all’avanscoperta e trova nel suo inerpicarsi per la montagna un bambino solitario come lui, con le gambe magre e una cassetta rovesciata su cui si arrampica per lavare i piatti al lavatoio. Autosufficiente e solitario, con lo sguardo triste. Qualcosa però non quadra in ciò che gli racconta il ragazzino e il nostro signore gli fa visita ripetutamente per far luce sulla sua storia. Troppi dettagli lo insospettiscono: perché frequenta la scuola alla sera? Perché vive completamente solo in mezzo al bosco? Chi è davvero quel bambino e che rapporto li lega?
Un racconto che parte bucolico, diventa misterioso e si stringe intensamente in un finale inaspettato.