La vita in parallelo di una città e dei suoi piatti, raccontata da Davide Enia
Dalla collana Allacarta di EDT edizioni, le grandi città del mondo vengono raccontate attraverso il cibo. In Uomini e pecore di Davide Enia è Roma a essere ritratta seguendo un eroe silenzioso della Resistenza, grazie anche al profumo di piatti della tradizione che portano sotto il naso l’odore di quei giorni. Vengono estratti episodi dal cassetto dei ricordi e raccontati con cautela perché niente si perda. La storia della pasta alla carbonara, della coda alla vaccinara e dei carciofi alla giudia diventa anche la Storia della Roma della liberazione.
Il punto di partenza è il diario di Ciro F, la testimonianza di un portadispacci che nel giugno del ’44 vede finire finalmente i suoi compiti. Tra la fame e la guerra si racconta della solidarietà tra soldati che parlano lingue diverse e di come per necessità, da queste mescolanze, nasca la pasta alla carbonara. Le sue cronache orali hanno trovato la giusta forma in un libricino che racchiude parte di quelle lunghe rievocazioni delle domeniche in famiglia. L’autore lo presenta a partire dal Cimitero Militare polacco di Montecassino, in ricordo del casale in Ciociaria che lo accolse e del cibo che finalmente potè toccare con mani. Nessuno come chi ha sofferto la fame durante la guerra può intuire cosa voglia dire essere affammati ogni giorno. Ed è così che generazioni di nonni ingozzano i nipoti: è la massima dimostrazione d’amore.
Tutto quello che posso fare, adesso, è mangiare, se è rimasto cibo, dormire, se ci sono ancora sogni, e attendere l’arrivo della storia. La vediamo sfilare dalle finestre delle case in cui ci siamo nascosti, o da sopra i muri, sventolando fazzoletti come se fosse la prima volta che ammiriamo i soldati in marcia.
È sempre Ciro a far sentire la sua voce, lui che come un’ombra corre di notte e striscia silenzioso di giorno portando informazioni in codice da un gruppo all’altro. Non dimentica di descrivere gli aspetti più sporchi della guerra, quella che lo ha ricoperto di fango, puzza e ferite, che gli ha spaccato i piedi fino a non riconoscerli più. Ciro vive d’istinto e vede i segni nella realtà circostante, perciò non è un caso che un gregge di pecore gli abbia salvato la vita per ben due volte. Non è un caso nemmeno che trovi rifugio in casa di Elsa, l’orfana che gli parla di sé attraverso Roma, dove passeggia rigorosamente senza meta.
Non so cosa ci porti a descrivere agli stranieri il luogo in cui abitiamo. Credo che sia perché in esso rimangono tracce della nostra esistenza. Descrivere una città o un paese è come dipingere un auoritratto. Si tratteggiano particolari, facendo una cernita degli spazi, dispensando consigli su cosa vedere e cosa fare, offrendo una mappa sentimentale in cui usiamo la città per raccontare noi stessi.
Dall’arruolamento alla liberazione della capitale, Davide Enia analizza questo breve memoriale indagando ciò che gli sta intorno, prendendo come testimone principale l’erede di quelle esperienze: Giovanni, la sua vita di oggi e quella della giovinezza, quando ha lasciato Castellammare di Stabia per seguire le tracce del nonno e studiare Storia a Roma. Portando con sé i resoconti del nonno, che la guerra l’ha combattuta, attraversata, subìta, vissuta, propone un’altra fetta di questo mosaico infinito, quella della capitale negli anni ’90 in una parentesi di contemporaneità.