Ascolta, un viale avevo
di sterminate rose
da guardare la sera,
cieli di viole
che l’edera rampava a grandi tele,
avevo corde amorose.
E guarda adesso
com’è tutto raccolto in un mirino,
che finalmente la mia strada ho perso
nel mondo delle cose
e mi sento salire rami nuovi
e il cielo ce l’ho steso sulle dita
e amo, e mi rinchiudo
tutta nella vita.
Silvia Bre
Anelare verso il nuovo e il sensazionale. Un desiderio che è una speranza e contemporaneamente un’illusione.
Di questa ricerca si fa portatrice Silvia Bre, classe 1953, una delle voci più importanti del panorama poetico italiano contemporaneo. Dei suoi versi si parla come tra i più significativi scritti negli ultimi vent’anni della nostra storia letteraria.
Nella raccolta “Le barricate misteriose”, la poetessa veicola una voce intensa e malinconica. Proprio la malinconia, questo stato d’animo grigio le permette di comporre versi che cercano di penetrare il senso più intimo delle cose, cercano di trovare una risposta.
Questa tensione anima profondamente anche i versi in questione. Aver perso la strada provoca smarrimento, turbamento, disorientamento. Tuttavia quel “finalmente” è la chiave di lettura per interpretare il pensiero della Bre. Tale avverbio apre un mondo, spiana la strada verso quel qualcosa di nuovo che è punto di partenza e obiettivo della sua poesia.
Qual è allora la soluzione? Il punto è che non c’è soluzione. È come ammettere che il senso è nel viaggio: il non smettere di cercare, il non stancarsi di andare è la soluzione reale.
La chiusa della poesia contiene tutto il suo messaggio. Salire i rami nuovi, tendere a ciò che non si ha è il senso pieno della vita. Rinchiudersi nella vita, significa penetrare l’essenza delle cose, nella loro nudità e anche nella loro sorpresa.