Capita raramente di imbattersi in un saggio che sappia essere, allo stesso tempo, istruttivo e divertente. Ma, leggendo La lingua colora il mondo di Guy Deutscher, ho imparato e riflettuto tanto quanto ho riso. Lo stile scorrevole, la battuta pronta, la capacità di mantenere il lettore incollato alla pagina nonostante non stia seguendo l’intricata trama di un romanzo: queste le qualità principali di questo libro, che mi ha interessato moltissimo in quanto studentessa di letteratura e linguistica, ma che potrebbe risultare sicuramente una lettura illuminante anche per i non specialisti.
L’interrogativo principale a cui l’autore cerca di dare risposta riguarda la capacità della nostra lingua madre di influenzare il pensiero e quindi il modo di percepire il mondo e le sue componenti. Prendendo in esame diversi aspetti, analizzati in passato da linguisti e antropologi, ma che ancora non hanno portato a risposte definitive, Deutscher conduce il lettore attraverso un percorso guidato, in cui, ad ogni passo, si scoprono nuove intuizioni, nuove ipotesi e nuove soluzioni. Ciò che rende questo saggio fruibile per qualsiasi lettore minimamente interessato all’argomento è proprio l’abilità dell’autore nel costruire percorsi chiari e coerenti, che seguono sviluppi storici e logici perfettamente spiegati.
La grande varietà di esempi, indispensabili in un lavoro di questo tipo, presi dalle lingue più lontane dalla nostra (geograficamente e strutturalmente), arrichiscono notevolmente il discorso. Il titolo del saggio si riferisce, in particolare, ad un’analisi che da secoli assilla linguisti e altri studiosi, quella della percezione del colore da parte di diverse culture. È possibile che il modo in cui una società assegna determinati nomi a determinati colori influenzi il modo in cui quel colore è visto? Ogni cultura “vede” effettivamente gli stessi colori? Perché i nomi dei colori non hanno corrispondenze precise in ogni lingua? Deutscher cerca di dare delle risposte a questi e ad altri interrogativi, delineando anche la storia di questo tipo di ricerca.
Una delle indagini, parallele a quella sul colore, che più mi ha incuriosito è quella sullo spazio e sul modo di dare indicazioni spaziali. Analizzando la differenza del sistema egocentrico (quello che noi usiamo di più, che utilizza le categorie di destra, sinistra, avanti, indietro, etc.) da quello geografico (che usa per ogni indicazione spaziale nord, sud, est, ovest), l’autore costringe chi sta leggendo a rendersi conto di quanto sia relativo il modo in cui ci esprimiamo tutti i giorni; tutto è sempre accompagnato da numerosi esempi, che, in questo caso, si rivelano particolarmente curiosi: “naso a sud sta piangendo”.
Quello di Guy Deutscher è un libro che consiglio a qualsiasi tipo di lettore, per la sua capacità di insegnare qualcosa senza mai risultare didattico o pedante, e per il modo in cui sa sconvolgere un sistema di linguaggio e di pensiero che si ritiene essere universale strappandoti anche una risata.