Ci sono soddisfazioni apparentemente piccole, che sommate insieme possono riempire un’esistenza, ma io ne volevo di grandissime”.
Ripercorrere una storia, quella con la S maiuscola, quella di un’Italia complicata, incomprensibile, sorprendente, sporca, a volte quasi estranea. Un percorso difficile, visto il peso che questa Storia sembra rigettarci ancora oggi sulle spalle, con i conti che non riusciamo a pagare davanti ai nostri errori, ai difetti, alle coscienze. E forse proprio davanti alla necessità di questa resa dei conti Alessandra Fiori, che nella politica è cresciuta, decide di ricercare il punto di inizio, la sorgente a cui la sete di potere si è abbeverata per più di 50 anni.
Un’impietosa versione del nostro essere, quella storia che ci ha formato, che ha reso materia fisica la nostra cultura, le nostre idee, convinzioni disgraziate perse nei dibattiti da BAR. Così Fiori tratteggia la storia di Claudio Bucci, piccolo uomo in cerca di riscatto, ambizioso ammaliato dal potere, e da quell’irresistibile desiderio di prendersi un pezzo di cielo. Perché “il cielo è potenti” (o dei violenti, citando non casualmente Flannery O’Connor), e l’arroganza del potere mira dritto al cielo, all’unico spazio vietato ai simboli di partito, per diventare immortali, divinità.
Che Claudio Bucci sia uno di noi, è implicito. Cresce nella povertà lui, quella povertà dal sapore tutto italiano, che costringe all’umiliazione, al dolore quasi fisico di assoluta impotenza, di “vorrei, ma non posso”, di bruciante desiderio di riscatto. E nella massa di cittadini informi senza volto e identità nasce la cocciuta, ostinata, convinzione che se scalerai le vette di quella crudele, elitaria, scala gerarchica, quella che ti ha imposto il silenzio, avrai il mondo ai tuoi piedi. Perché la “borghesuccia”, nel suo senso più dispregiativo, non ha peso. Che senso ha parlare se nessuno ti ascolta? Così si creano i mostri, così nasce Claudio Bucci, diciassettenne che al Palazzo dei Satiri ascolta il suo primo comizio politico, convinto che il rinnovamento della DC possa aprire le porte di una vita migliore, e la piccola figura sul palco, ingrandita dalla divina luce del sapere, possa concedergli quel pezzo di cielo, lo spazio che gli spetta di diritto. È l’arroganza del sapere, che in Italia appartiene a pochi, non ai giusti, e si confonde con un potere sporco, che travolge ogni coscienza. In una storia amara, di tangenti, compromessi, Brigate Rosse, in cui appaiono i volti non troppo mascherati di Giulio Andreotti e Silvio Berlsuconi, Fiori tratteggia i lineamenti di un volto stanco, logorato dal compromesso, incapace di comprendersi, il volto di un’Italia dove neanche il cielo ha più diritto di sperare.
Questa è la storia della Prima Repubblica, secondo lo sguardo di una scrittrice giovane, libera dalla pomposità di ideologie troppo pesanti che impediscono un quadro obiettivo. “Il cielo è dei potenti”, è la violenza della politica come mezzo di potere, una dimensione astratta in cui giusto e sbagliato, bene e male, libertà e compromesso, si confondono, si amalgamano fino a perdere significato.
Diceva il padre del protagonista, “campa e lascia campare”, e in questa frase si nasconde tutta la tragedia e l’umiltà di una Storia ancora in attesa di riscatto.