Se scrivo è per questa ragione, per capire perché si scrive. E ho l’idea che si scrive perché non si è a casa nel mondo”.
Ci sono diversi modi per rendere interessante una biografia. E Nadia Fusini, che già ha presentato una delle rarissime biografie italiane di Virginia Woolf, in questo è bravissima. Se la vita di una donna che è stata al mondo il tempo di un battito d’ali può apparire troppo lontana, ostica, troppo poco nota per ricavarne un film e una serie di riedizioni, allora si deve colorarla di tinte più accese, renderla più invitante. Così Fusini si inventa due personaggi, un po’ nebbiosi, quasi immateriali.
Sono due fratelli, e come pegno alla loro protagonista si abbandoneranno alla scrittura dietro un altro nome, Zoe e Frannie, in prestito da Salinger.
Frannie, o Franny, o Francis, è lo scrittore malato di malinconia, come le scrittrici di cui Fusini scrive. Ma la sua scrittura, Frannie, non la conosce bene, o meglio vorrebbe scoprirla, perché per scrivere è necessario avere un proprio carattere, ma lui il suo ancora non lo trova. Rinchiuso in casa per paura del mondo, del vuoto in cui i viaggiatori si tuffano per raccontarne le emozioni al loro pubblico, il suo unico contatto con l’esterno è l’amata sorella Zoe. Perché se Frannie scrive, Zoe, traduttrice, parla. Tutti e due si muovono nella comunicazione e Zoe, come tramite col mondo, si insinua nella mente del fratello, leggendone i pensieri prima che si trasformino in parole, come un alter ego che rende palpabili i dubbi e le emozioni del lettore. Così, quando il fratello decide di raccontare la vita di Katherine Mansfield, scrittrice antagonista di Virginia Woolf, è Zoe a fare da eco alle nostre sensazioni.
Al sole va chi morendo pensa al sole,
dirà Katherine Mansfield – KM così si firmava- citando Lewis Wallace, poco prima di morire. Perché il sole, con il suo calore, e la sua luce abbagliante saranno il suo unico fine.
Due aborti, un frenetico desiderio di amare, la fiamma di una ribellione autodistruttiva che la consuma e che la porterà a contrarre malattie veneree. Innamorata di un uomo troppo piccolo per sostenere una donna così immensa. L’ardente vita di Katherine Mansfield si incendia in un secondo, e si spegne all’ombra della tubercolosi, quella malattia devastante che le provocherà un “dolore atroce all’ala”, e la porterà alla morte a soli trentaquattro anni.
Alla fine dei suoi giorni Katherine cercherà rifugio nel sanatorio di Gurdjieff, un santone accusato di averla manipolata, ma che nella visione di Nadia Fusini ha più la forma di una volontaria decisione di accettare la morte.
Come in “Possiedo la mia anima”, Nadia Fusini offre una prospettiva psicologica avvincente, trasversale, e sempre profondamente sentita. La passione e l’abbandono che prova per la fragilità di creature come Virginia Woolf o Katherine Mansfield, inondano il lettore, tanto che si termina l’ultima pagina con la loro anima nella testa.