Autore di romanzi famosi, David Grossman torna a emozionare il pubblico con un altro capolavoro, “Caduto fuori dal tempo”. Un romanzo? Una poesia? Il libro di Grossman si presenta come “un canto a più voci, un lamento polifonico che echeggia il modulo in versi della tragedia classica”. Un lamento e un dolore che si infrangono su queste pagine bianche con la stessa violenza di quando il mare tortura gli scogli. Un grido silenzioso è questo di Grossman che porta con se, giorno dopo giorno, un fardello comune a molti uomini, padri o madri. A sei anni dalla scomparsa del figlio Uri, strappatogli dalla guerra israelo- libanese del 2006, Grossman torna a scrivere per ricordare, per dar voce a quel vuoto che lo divora dentro, per ritrovare se stesso e sentire di nuovo vicino il figlio perduto.
“-Più che della mia,ho sentito la mancanza della tua voce.
-Ma cos’è laggiù, dimmi? Non esiste un posto simile, non c’è un laggiù!
– Se ci si va, un laggiù c’è.”
È sera, c’è silenzio e in una casa moglie e marito si accingono a cenare. Ma l’uomo si alza da tavola e esce dicendo di voler andare “laggiù”. A cosa si riferisce? Dov’è questo luogo? Un posto immaginario dove i vivi percepiscono la vicinanza dei morti. Un luogo dove la Vita e la Morte da sempre nemiche, ora, si sfiorano in un connubio armonioso. L’uomo vaga senza meta e senza aspettative. Cammina con la mente e con i ricordi. Viaggia col cuore verso un luogo lontano dove spera di trovare conforto o semplicemente una fine al suo dolore. Ma, purtroppo, quando si perde un figlio, si può smettere di soffrire? Quel bambino che ti ha reso padre, che giorno dopo giorno ti ha regalato gioie e sorprese; quel figlio che hai visto crescere e diventare uomo e che la beffarda Morte ti ha strappato in un attimo. E insieme a lui ti ha tolto il sorriso e la voglia di andare avanti. Quella Morte che si è presa tutto, senza sconti, senza rimorsi, lasciandoti solo una fitta nel cuore.
“A noi si spezzerà il cuore, e forse moriremo come lui, in un momento, o rimarremo sospesi davanti a lui, in bilico tra i morti e i vivi…Ma questo lo conosciamo, da cinque anni, il patibolo della nostalgia…”
All’uomo, mentre le pagine scorrono insaziabili, si uniscono altri personaggi che vivono lo stesso dramma e hanno subito la stessa perdita: il Duca signore di quelle terre, una levatrice, un ciabattino. Ognuno ha perso un figlio o per una grave malattia, o in guerra o in un incidente. Le loro voci si sommano a quelle del protagonista in un solo straziante dolore, le loro voci si alternano con ordine e colpiscono il cuore del lettore. Personaggi complessi ai quali si aggiunge la strana figura di un Centauro. Quest’ultimo ha solo in parte sembianze umane perché nel tempo le gambe sono diventate un tutt’uno con la scrivania. Quindici anni seduto li, accerchiato dagli oggetti del figlio defunto. Seduto a quella scrivania con l’unico scopo di trovare parole per spiegare la morte.
“Ma se non scriverò non capirò…”
Si può dar voce alla morte? La si può spiegare? Plutarco scriveva che “la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto”. Quando un giovane, un figlio muore non ci sono parole che possano spiegare. Non ci sono pagine che possano trattenere la sofferenza. Non ci sono lacrime che possano consolare. La disgrazia più grande per un genitore è vedersi privare del proprio figlio. “Laggiù” sperano di trovare, anche solo per un attimo, i loro cari. Esisterà questo luogo o è soltanto un’illusione di chi ha troppo sofferto? Riusciranno a trovare un equilibrio o almeno in parte a ricomporre i pezzi delle loro vite spezzate?
George Sand scrisse: “Stento a credere che perdendo quelli che amiamo conserviamo intera la nostra anima.”