C’è un fiore il cui nome significa “fiore d’oro’, di cui esistono molte varianti, una più bella dell’altra, eppure noi italiani mai lo regaleremmo a qualcuno: il crisantemo. Immaginatevi di riceverne un bel mazzo, di riconoscerne la bellezza innegabile e di conoscerne anche il significato etimologico, bene, dubito che non li tirereste comunque dritti sul muso di chi ve li ha portati in dono. Cosa è questo se non il segno più evidente di come le convenzioni governino le nostre esistenze, con una forza tale da influenzare il nostro giudizio persino a scapito della vista e dell’olfatto, i sensi soccombono rispetto alle abitudini, e il “razionale” si inchina al “dovuto”? Shakespeare scrisse: “Ciò che noi chiamiamo rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo”. Impossibile dargli torto, ovviamente, ma se invece del nome variassimo la simbologia, e la rosa divenisse il fiore dei morti per eccellenza, nessuna donna agognerebbe più ricevere dall’amato il desiderato mazzo di fiori rosso passione.
Questo è quel che succede col concetto di famiglia, che presuppone il significato di nido a cui tornare, di posto caldo e asciutto in cui rifugiarsi quando nel mondo infuria la tempesta. Il prototipo “mulinobianco” tanto per intenderci, senza trucco e capelli in ordine al mattino certo, ma pur sempre un luogo felice. Al massimo si è pronti ad accettare che la propria sia una famiglia strana, diversa dalle altre, e anche quelle dei vicini i cui bisticci attraversano i muri sottili sono lontanissime dal modello di perfezione certo, ma più in là, oltre il nostro occhio e il nostro orecchio, ecco che l’istituzione cardine della società rifulge; noi non possiamo vederli questi nuclei di persone che si amano pazzamente senza problemi e disfunzioni ma loro esistono: è un atto di fede.
Douglas Coupland, superando la celebre frase di Tolstoj “Le famiglie felici si somigliano tutte; le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo”, scardina le convenzioni e afferma già nel titolo del suo libro che “Tutte le famiglie sono psicotiche”. La famiglia Drummond è un disastro, e le riunioni tra parenti non sono certo molte, ma Sarah è in procinto di partire per lo spazio e allora sua madre Janet, Wade e Bryan i suoi fratelli, il padre Ted con la sua nuova giovane compagna Nickie, Beth e Shw (che più che un nome pare un suono gutturale, e non dico altro) le sue strane cognate molto diverse tra loro e infine il marito Howie, quello che tra gli altri sembra il più normale e risulta il più indigesto, si incontrano tutti a Cape Canaveral. Le relazioni tra tutti sono complicate a dir poco, quattro membri della famiglia hanno l’HIV e, di questi, tre lo hanno contratto in modo rocambolesco. Ebbene, succede di tutto, tra ambigui personaggi, lettere rubate da una bara regale, coppie che trafficano in esseri umani, gravidanze difficili o indesiderate, tradimenti e tanto, tanto altro. Non mancano le digressioni che, senza mai confondere o stancare, tratteggiano questo ritratto familiare che più che rimandare all’immagine d’un caldo focolare sembra condurci verso una vera famiglia Addams post-moderna.
Molti sono stati i paragoni con i Tenenbaum che non mi sento di sottoscrivere, molto più irriverenti i Drummond ma anche molto più “reali”, comuni, possibili, forse sono proprio i vicini che sentiamo litigare aldilà del muro, o siamo proprio noi e la nostra psicotica famiglia.
Moderno per stile e tematiche, questo libro gioca col lettore come il gatto col topo, prima rivelando e poi ritraendosi scontroso, prendendolo per mano e poi lasciandogliela d’improvviso, impedendo in ogni momento la noia o la distrazione, inserendolo nel vortice che è la vita di questi pazzi e meravigliosi Drummond.
Non nego che vorrei qualche volta svegliarmi al mattino già in ordine e davanti ad una splendida tavola imbandita, piuttosto che sconvolta come dopo un incontro di box e con solo un caffè nero ad attendermi, ma in un noioso e irritante mondo di plastica non ne dubito: il pazzo che con l’ascia rovina tutto, decapitando i congiunti, sarei io.