D’estate, paradossalmente, la quiete, il riposo, il distacco dalle nostre quotidiane complessità, tende a rendere alcuni lettori pigri, io tra quelli. La pigrizia non si manifesta nel numero di pagine o di tomi che prendono la tintarella in spiaggia con noi, con le pagine un po’ rovinate e la sabbia della quale ci si pente subito, insomma il libro è un oggetto caro, no, la pigrizia consiste nel bisogno che sia il libro a fare tutto il lavoro, che i meccanismi sempre in moto nella testa possano un poco rallentare. Questo forse il motivo di tanti gialli, e thriller, e cosiddette letture leggere, sotto l’ombrellone. Un libro di tal genere può coinvolgere in modo vario, appassionare, renderci investigatori pronti a cogliere il minimo indizio, tuttavia lascia dormiente la nostra affaticata parte più profonda, chiunque sia l’assassino non avremo bisogno di scavare dentro noi stessi.
È forse per questo che il mio incontro con “Pura vita” di Andrea De Carlo non è stato dei migliori, pretendeva da me un coinvolgimento che probabilmente non ero disposta a dargli, nessuno moriva, le pagine non erano mai incalzanti, un lungo dialogo, tante parole a raccontare alcune vite all’interno di una storia in cui non accadeva niente.
Un uomo ed una donna molto più giovane di lui sono in viaggio, da Milano verso la Camargue, in Francia, pochi giorni soltanto, una piccola parentesi per un padre e quella che dopo poche pagine si scopre essere sua figlia. Giovanni, questo il nome di lui, sente il bisogno di parlare con la ragazza sedicenne, della quale non conosceremo mai il nome, desideroso d’un contatto più profondo, invaso com’è dai sensi di colpa derivanti dalla separazione dalla moglie, avvenuta molti anni prima. Si trovano i due allora a parlare di tante cose, da racconti del passato, a lunghe elucubrazioni sui massimi sistemi che tuttavia conducono sempre al presente, con Giovanni logorroico e a tratti supplicante il confronto e lei fintamente disattenta, in realtà presente e assorta al contempo. Tanti gli interrogativi, le domande che spesso molti di noi si sono fatti nella vita, senza essere stati spesso in grado di rispondere né a noi, né ad altri. Sullo sfondo una relazione complicata, quella di Giovanni con M., lo scambio con lei di mail, sms, telefonate, talvolta solo un reciproco lancio d’accuse, talaltra nuove indagine sulle profondità di esseri imperfetti animati da una fiamma, e quindi per questo straordinari. Solo un viaggio, senza colpi di scena, con una struttura narrativa ed una trama che potrebbero essere egualmente definiti “nulla” e “tutto”.
È innegabile che un personaggio che parla per un libro intero, discetta, racconta, filosofeggia non può non risultare a tratti presuntuoso, qualche volta persino noioso, tuttavia Giovanni si mette in discussione proprio un attimo prima che il personaggio risulti definitivamente indigesto, i sensi di colpa che nutre nei confronti della figlia, le sue difficoltà nelle relazioni, il suo desiderio d’un cambiamento pur nutrendo una violenta paura per l’omologazione lo rendono umano, dotato di moltissime sfumature. De Carlo lo tratteggia a 360 gradi, ne fa quasi una persona in carne e ossa, con una maestria invidiabile. Certo talvolta il tutto rallenta, anche troppo, ma non credo sarebbe stato possibile per l’autore fare altrimenti mantenendo vivo lo stesso proposito: mettere a confronto due generazione, lasciandogli la possibilità di parlarsi, esplorarsi, viversi, null’altro.
Questo libro non consente distrazioni, sebbene non richieda memoria esige concentrazione e voglia di interrogarsi. Prima di decidere di leggerlo farete bene a chiedervi se avete voglia di ascoltarlo, ma soprattutto, avete voglia di ascoltarvi?