Perché si scrive? È possibile isolare, nella vita di un individuo, l’istante esatto in cui l’ispirazione letteraria invade ogni cellula, costringendolo ad abbandonare qualsiasi altra occupazione, per votarsi alla scrittura?
Eduardo Halfon, giovane scrittore sudamericano, ha tentato di rispondere a queste domande in un piccolo romanzo: “L’angelo letterario”. Partendo da cinque biografie, che tentano di avvicinarsi il più possibile all’attimo in cui Hermann Hesse, Raymond Carver, Ernest Hemingway, Ricardo Piglia e Vladimir Nabokov sono stati folgorati dalla letteratura -divenendo inevitabilmente suoi schiavi- lo scrittore intreccia i suoi studi, le sue esperienze, i suoi incontri, per isolare questo fatidico angelo (o piuttosto demonio), che accende nell’uomo la febbre dello scrivere.
Progetto ambizioso, ma destinato al fallimento come c’era da aspettarsi.
Tuttavia, le 160 pagine del libro di Halfon scorrono rapide e regalano l’illusione di entrare nella vita di grandi autori, scorgendo in questo o in quell’evento, il momento dell’illuminazione. Da spettatori, assistiamo ad alcune avventure del giovane Hermann, ribelle all’autorità paterna e non solo; lo scopriamo amante della libertà, della natura, che da grande vuole diventare un mago perché la realtà gli sembra una convenzione ridicola degli adulti. Vuole trasformarla. Letteratura, qui, come unico modo per stravolgere la realtà, per sfuggire a un’insoddisfazione cronica.
Per Carver, invece, la situazione è più complicata: la letteratura lo chiama a sé, ma la difficile condizione economica della sua famiglia ne ritarda l’incontro. Carver legge Čhecov in una lavanderia, qui prende appunti su block notes e dimentica i figli, la moglie, i vestiti in lavatrice. Hemingway è a Parigi, invece, e conosce grandi personaggi che ne segnaneranno la carriera letteraria, come Ezra Pound o Gertrude Stein.
Segue qualche parola su Ricardo Piglia, ma l’episodio più significativo è quello di Nabokov. Halfon riporta l’episodio della lettura della sua prima poesia alla madre: meraviglioso momento in cui l’angelo letterario si manifesta davanti agli occhi della persona più importante della vita dello scrittore, ma di ogni persona, in generale.
Bene, a questo punto Halfon rivela di aver letto –tempo dopo- che anche questa non era che una finzione letteraria, che Nabokov scriveva poesie già da tempo e che anche qui, voler isolare il momento preciso in cui l’ispirazione si è impossessata dell’autore, è cosa impossibile.
A questi grandi scrittori, come già detto, si intrecciano le esperienze, le interviste, i pensieri di Halfon.
La conclusione di quest’impresa titanica è necessariamente votata al fallimento; non si può partire dalla biografia di un autore e tentare di isolare un attimo, un attimo che non è fatto solo di tempo ma di sensibilità, storia personale, talento, casualità: è come tentare di spiegare o isolare il momento esatto in cui ci innamoriamo di qualcuno. Francesco Orlando, usando una metafora, definisce la creazione letteraria un colabrodo: il vissuto dell’autore dà sapore a un’opera, ma non è di questo che occorre preoccuparsi quando si assapora un testo letterario. I residui, più o meno intenzionali, non costituiscono l’anima dell’opera, anzi si deve ben distinguere l’immaginario dal vissuto…Halfon ci riesce solo alla fine.
Sul retro della copertina, infine, si legge una frase lapidaria: “un libro per chi ama la letteratura”. Può darsi, ma chi ama la punteggiatura avrà qualche difficoltà. Vale la pena, comunque, spendere qualche ora per inserire questo libro tra quelli “letti”, almeno per i viaggi mentali che sa regalarci.