Che sfida, quella riportata nel libro “Processo a Dio”! Soggetto intangibile, Dio si presenta “processabile”, almeno nelle intenzioni di un dibattito, che vede contrapporsi due voci, permanenti nella loro condizione antitetica, divise tra ateismo e fede. La prima appartiene a Christopher Hitchens, giornalista e scrittore dichiaratamente antireligioso e scettico; la seconda a Tony Blair, politico di fama, da poco convertito al cattolicesimo.
Una domanda sollecita la discussione: la religione può essere uno strumento di bene nel mondo?
Il libro è il resoconto di quel dibattito, che ha visto i due contendenti confrontarsi sul terreno preparato da questa domanda iniziale, e la cui forma, rispettosa dei tempi d’intervento a tutela della imparzialità, si pone quasi a voler “raffreddare” il potenziale incandescente innescato dalla domanda stessa.
Dunque, la religione. Discussa sia alla radice della fede, sia per il ruolo storicamente assunto nelle questioni individuali e sociali.
Il quadro delineato da Hitchens è graffiato dai segni neri lasciati da un credo che, secondo la sua visione, altera l’uomo in quanto lo rende schiavo di un potere soprannaturale, con cui si confronta nella propria inadeguatezza costituzionale. E al contempo ne fa un fanatico, il cui unico scopo è quello d’imporre le proprie convinzioni a tutti, con la conseguenza di ingenerare odi e contrasti laddove quell’imposizione viene frustrata.
Blair, di contro, testimonia una diversa esperienza nella fede, quella che, richiamandosi al principio fondamentale dell’amore per Dio rivelato attraverso l’amore per il prossimo, rende l’uomo incline alla solidarietà.
Il lettore troverà materia di identificazione in una delle due posizioni, magari propendendo ora per l’uno ora per l’altro in un dissidio che difficilmente riuscirà a comporre.
Infatti, come si fa a non concordare col primo quando afferma che le religioni hanno storicamente relegato la donna ad un ruolo secondario o quando critica i tanti veti posti dalla chiesa cattolica in ordine alle evidenze della scienza? Ma come anche non considerare pertinente l’osservazione del secondo, che afferma che il fanatismo non è una caratteristica solo della religione e che non scomparirebbe con essa, che a fronte di un orientamento religioso foriero di reprensibili comportamenti, ci sta quello di persone che spendono la propria vita per aiutare gli altri, e che per molti questo imperativo morale che chiama all’aiuto reciproco riesce a consolidarsi solo in presenza della fede e non anche come semplice attributo dell’”Umanità”? L’uno rintraccia il trascendente nella centralità dell’umanesimo, l’altro sposta in alto il punto di osservazione ridimensionando l’uomo e contenendone la presunzione di onnipotenza.
Tutto maledettamente vero. Eppure, si ha l’impressione che in questa conversazione, abilitata sotto il profilo della competenza dei suoi dibattenti, a soffrire sia in qualche modo l’aderenza al reale. L’analisi tiene conto certamente di un’evidenza quotidiana, parlata attraverso le cronache politiche e sociali, discetta sulla natura ontologica della divinità, sulle sue declinazioni e sulle sue derive, ma di fronte alla proposta da parte di Hitchens di conservare il sacro distinguendolo dal soprannaturale o alla sua idea di un’”esplosione di secolarismo”, sorge il dubbio, atteso che per molti questa evenienza si pone come inconcepibile, addirittura come una deriva dell’esperienza rispetto alla sua naturale convergenza nell’universale, e che comunque le istanze trascendenti sono affluenti, che vanno quasi sempre a costituire il grande mare delle religioni. Così come non si può non guardare al pur apprezzabile tentativo di far colloquiare le religioni, auspicato da Blair, con una punta di incredulità, peraltro confortata da una pratica tristemente consolidata.
Ci sarà mai una sentenza finale?