“È possibile vivere felicemente un amore?”
Sembra essere questo l’interrogativo che muove le fila del romanzo Donne Innamorate, di D.H.Lawrence. Pubblicato nel 1920, il libro fu considerato pieno di depravazione e di vizi dai lettori dell’epoca
La trama è molto semplice: quattro personaggi principali, quattro storie diverse, quattro diversi modi di intendere l’amore.
Ursula e Gudrun sono due sorelle, diverse per carattere e temperamento: la prima vive in maniera spontanea i suoi sentimenti, ma è estremamente gelosa e insicura; la seconda è un’artista indipendente, libera e risoluta.
Ursula si innamora di Birkin, uomo intelligente e sensibile, stanco di amori egoisti e superficiali e alla ricerca di un legame superiore, libero dalle convenzioni, più profondo e generoso:
in quella nuova, divina felicità fatta di pace che sostituiva il pensiero, non c’era più io o tu, c’era solo quella terza realtà meravigliosa, il fatto di non esistere più come essere singolo, ma in una consumazione del mio essere con il suo in un essere nuovo, in una nuova unità paradisiaca riconquistata alla dualità. Come si fa a dire: ti amo, quando ho cessato di esistere, e tu pure, perché siamo entrambi travolti e superati in una unità nuova dove tutto è silenzio, perché non vi è più nulla da rispondere, tutto è perfetto e all’unisono?
La felicità intesa da Birkin è sospensione del tempo, lenimento del male. L’amore, in quest’ottica, riesce a sottrarsi al tempo, pur attraversandolo, e al corpo, pur includendolo. Ma proprio per questa sua radicalità, la felicità resta ai margini dell’esperienza comune, cosicché Birkin e Ursula cercano di produrla artificialmente, vivendo il loro matrimonio in maniera anticonvenzionale, assumendo perfino atteggiamenti mistici. La felicità dell’amore è ciò che immerge in un perfetto oblio dell’essere, è un morire nella certezza mistica del possesso meraviglioso. Mediante il legame erotico, l’amore appare come l’unica esperienza in grado di spingersi oltre se stessa, come Birkin ripete senza che gli altri appaiano in grado di comprenderlo, compreso la sua donna, che si adegua a lui passivamente.
L’incatenamento, inteso da Birkin, si ottiene superando la dimensione dell’utilità meccanica, tipica di quella civiltà moderna da cui invece è totalmente assorbito Gerald, l’amico di Birkin, coinvolto in un problematico rapporto con Gudrun, la sorella di Ursula. Essi, troppo presi dalle proprie individualità, non riescono a giungere in quella “zona ulteriore” che Birkin ricerca, la perfetta polarizzazione di maschile e femminile.
Questa dimensione, però, è solo vagheggiata e mai raggiunta neppure da Ursula e Birkin, se non nel vissuto di pochi istanti.
Il romanzo di Lawrence risulta istruttivo, fornendo un’idea chiara di ciò che la maggior parte degli uomini si attende dall’amore: un’utopia di bene e di perfezione, che permette l’essere perfettamente singoli e perfettamente insieme.
La conclusione è amara e pessimistica: è difficile vivere in maniera spontanea un rapporto, è difficile mettere da parte il proprio Ego per ricercare con l’altro una zona comune. Il più delle volte, il rapporto uomo donna diventa un soffocante egoisme a deux. Tuttavia, abbiamo bisogno di credere che un giorno riusciremo a vivere quell’incatenamento dei sensi, che ci spinge oltre noi stessi; ne abbiamo bisogno per dare senso ai giorni, alle ore…per sentirci meno disarmati di fronte alla morte e più partecipi del miracolo della vita!