“Dai muoviti.” correva Paul, con il basco in testa.
“Aspettami.” lo seguiva, Marianne, con le calze di lana allentata. Faceva del suo meglio, lei, per stargli dietro. Quando a Paul brillavano gli occhi a quel modo e con la mano cercava di tirarti con sé, non avevi mica scelta. Dovevi per forza seguirlo.
“Lo devi assolutamente vedere.” continuava a tenerla forte, come se non la volesse lasciare mai.
“Va bene, va bene.”correva Marianne, dietro al basco rosso, come se sentisse che quello sarebbe stato sempre il traguardo da raggiungere.
“Ecco. Guarda”
Marianne alzava lo sguardo e rimaneva a bocca aperta di fronte a quello spettacolo. Un uomo dal vestito elegante, volava.
“Avevo ragione io, non è vero che non si può fare. Papà non ha sempre ragione.”
Ma Marianne faticava a seguire il pensiero dell’amico, era sbalordita dalla piroetta volante, dalle braccia aperte come un uccello, e dai piedi che ad ogni giro si davano slancio, stando a terra solo quel secondo necessario che permetteva all’uomo di riprendere il volo.
“Non deve essere umano.”
Paul guardava l’uomo con il cuore in petto che faceva le giravolte peggio della trottola impazzita con cui giocava da bambino. Era il suo eroe.
Lo aveva visto settimane prima, ed ogni venerdì era sempre lì, che saltava. Qualche volta aveva pubblico, ma la maggior parte delle volte saltava, lì, da solo. Perché lo faceva, se nessuno poteva applaudirlo? Come faceva ad andare sempre così in alto con la sola forza delle gambe? Qual’era il suo segreto? Questo si era ripromesso di chiedere, Paul, un giorno. Ma per farlo doveva esserci anche Marianne. Una come lei non avrebbe potuto credere se non vedendo con i propri occhi. A lei non se la raccontava facilmente.
Un pomeriggio lo trovarono assorto, che guardava in alto nel cielo, osservava gli uccelli fare il giro della morte, i quali proprio un secondo prima di sfracellarsi a terra, riprendevano la planata, come se nulla fosse stato. Li guardava nostalgico, spettatore di qualcosa di irripetibile. Qualcosa da fotografare chiaro e tenere sempre con sé. Marianne e Paul gli si sedettero a fianco, imitandolo nello sguardo, persi nelle nuvole. Volavano anch’esse, senza ascoltare il parere di nessuno. Andavano semplicemente dove volevano andare. Ad un tratto l’uomo parlò così, semplicemente:
“Vi dico un segreto. La vita non bisogna viverla correndo. Funziona così, secondo me: tu vedi la strada e non sai dove finisce, e allora metti un passo davanti all’altro e cominci. Poi ad un certo punto però hai voglia di correre, sai, ma correre veloce, più del tuo respiro, perché è tutto così uguale intorno alla tua strada, che ti spaventi. E se non ci fosse mai fine? Ma la corsa serve solo a farti perdere fiato. Non è che così arrivi prima di qualcun altro, e allora non è che sei felice. Sei solo stanco.”
“Ma non ha paura di non arrivare mai?” Chiedeva Paul.
“La gente pensa che lei sia folle.” continuava Marianne.
“No, tanto so che arriverò. Di quello che dicono gli altri non mi importa. Quello che mi preoccupa è ogni passo successivo a quello precedente. Così si dovrebbe fare, secondo me. Pensando a piccoli passi. A cosa c’è da fare immediatamente dopo. Il resto viene da sé, le botte le prendono tutti. Le cadute, poi. Quelle non ti dico, caro mio. Quelle fanno più male di tutte.”
“E allora perché non smette?” diceva lei, con tono preoccupato. Lui la guardava con occhi grandi e dolci. Occhi vivi, mai stanchi. Occhi brillanti come quelli di Paul.
“No, mia cara. Farsi male capita. Quello che non capita spesso è superare se stessi.”
Marianne annuiva, sembrava capisse. Paul si chiedeva come fosse possibile che un uomo come lui, così coraggioso, stesse sempre lì, allo stesso punto. Glielo diceva, anche.
“A te sembra così. Ma io faccio passi in avanti ad ogni giravolta. Sfido la gravità. Lo sapete voi cosa vuol dire?”
Paul annuiva, Marianne snocciolava conoscenze fresche fresche, da brava secchiona, qual’era.
“E’ la forza che ci tiene a terra.”
“Brava, brava. Sicuro. Il problema è che se un uomo non stacca i piedi da terra, come fa a dire di essere mai arrivato da qualche parte nella vita?”
Marianne non comprendeva fino in fondo, ma Paul, sì. Paul pendeva dalle labbra dell’uomo che non poteva mai fermarsi. Marianne lo capiva da come l’amico stringeva i pugni e acconsentiva ad ogni teoria dell’uomo.
“Voglio andare con lui.”
“Che dici?”
“Sì, ho deciso. Non mi importa niente del lavoro nei campi. Io non sono così, come mio padre. Io sono un artista, come quelli del circo della città. Te li ricordi? Eravamo piccoli piccoli, ma io me li ricordo”
“Un artista? Solo perché sei bravo a correre e saltare più lungo degli altri, non vuol dire che sei come l’uomo che non si ferma mai. Insomma ci vogliono anni per fare cose così. Vuoi vivere per strada?”
Lui la guardava e sentiva montare una strana rabbia, mai provata. Era una rabbia che gli faceva pensare che lui non era un ragazzino e lei lo avrebbe dovuto capire. Lui poteva saltare come quell’uomo. Anche lui poteva essere come quello che non si fermava mai.
“Sei come mia madre. Non capisci. Io corro veloce, io salto più lungo. Tu che fai? Leggi più velocemente l’enciclopedia?”
Non fece in tempo a fermarla quella volta, perché Marianne piangeva e lui non sapeva che fare.
Era stata Marianne ad andare più veloce, seminandolo.
Tornavano ogni venerdì. Ma quello era il venerdì decisivo, Paul aveva preparato lo zaino, sapeva che l’uomo non sarebbe rimasto a lungo. E lui era pronto a tutto. Aveva litigato molto con il padre ed era scappato. Ma proprio quel giorno l’uomo scomparve. Quello fu un brutto momento, perché Paul continuava a tremare, tradito dall’uomo che proprio quel venerdì aveva deciso di fermarsi per sempre. Marianne non sapeva cosa fare mentre Paul prendeva il basco e lo trascinava sulla faccia. Le giovani spalle tremavano. L’uomo era caduto malamente e si era rotto l’osso del collo.
“Secondo me aveva ragione lui.” ripeteva Marianne, fino a che Paul piangeva, colpito nel suo orgoglio di giovane uomo, ma impossibilitato a smettere facilmente. C’erano tutte le lacrime dei bambini là dentro. Tutte quelle, che una volta finite, ti catapultavano nel mondo degli adulti. Non c’era possibilità di tornare indietro.
“Sì, dico, non si può mica pensare a stare sempre in un posto. Il mondo è grande. Sai di quanti passi è fatto il mondo?”
Paul la guardava, cercando di capire dove lei volesse arrivare.
“Dovresti andare via lo stesso, Paul. Dovresti andare dove le strade sono così lunghe che non si vede il fondo. Dovresti provare a saltare su quelle strade per vedere se con un balzo solo riesci a vedere la fine.”
Lo diceva Marianne. E anche quella volta piangeva.
Dieci anni dopo.
“Ferma Giuliette. Ferma.” La bambina correva e la madre per poco non si faceva venire un infarto per starle dietro. Finalmente in prossimità della piazza del paese, riuscì ad acciuffarla. Ma perse subito la presa, rapita da quello che vedeva.
Un uomo, con il basco che sembrava incollato sulla testa, saltava. No, volava.
“Mamma, hai visto quello che fa?”
Marianne annuiva, con le lacrime agli occhi.
“Chi è quello?”
“L’uomo che non può fermarsi mai.”
FINE
Le parole certe volte sono vuote come le promesse.
le parole sono promesse non mantenute.