A parlar d’amore son bravi tutti. Le varianti son tante, ma l’ingrediente principale resta uno. E qualsivoglia ricetta non potrà che rendere il piatto finale oggetto di curiosità, interesse e ammirazione. Ma nel mio ricettario gli ingredienti son misti, simili a volte, ma mai ripetitivi. E proprio per non risultar noiosa e banale (quasi fosse possibile parlando d’amore?) stavolta ho scelto di portar in tavola un gusto diverso. La passione. Già, perché tra amore e passione la linea di separazione è così labile da creare spesso confusione in cucina.
Il passaggio dalla cucina alla libreria è stato difficile, facile invece mi è stato scegliere il libro. Vincitore nel 2010 del “Prix Femina”, selezionato al premio Giancourt, è giunto finalmente in Italia “La vita è breve e il desiderio infinito” di Patrick Lapeyre, classe 1949, professore di francese al liceo Victor Hugo di Parigi e già autore di sette libri. Le Figaro Magazine l’ha definito “Una storia senza tempo, trasfigurata dalla grazia della scrittura in un grande romanzo d’amore per il terzo millennio” ed io non posso che concordare con ogni singola parola. La storia è semplice ma complicata, ironica ma drammatica, coinvolgente ma distaccata. Nora, giovane aspirante attrice, lascia Londra per far ritorno, dopo più di due anni, a Parigi, città natìa, dove ad attenderla non c’è solo la sua terra ma anche un uomo, Louis Blériot, quarantenne Peter Pan in fuga da un matrimonio quasi perfetto ma stanco. Louis, sin dal loro primo incontro, ha pensato a Nora come alla «ragazza che gli è destinata» e gli anni di lontananza non hanno fatto altro che acuire in lui il senso di smarrimento e inquietudine dinanzi ad una donna impenetrabile e sfuggente ma dalla grazia innocente. Nora a Londra ha lasciato un marito, Murphy, americano trapiantato in Europa, operatore finanziario, austero si, ma tremendamente innamorato della sua bella e quindi intenzionato a riaverla nella sua vita.
Per entrambi gli uomini, Nora rappresenta l’innocenza e la grazia. Lei possiede una sorta di potente fragilità che le permette di attraversare la vita con leggerezza, ma per farlo si porta dietro una strana inquietudine. Il suo personaggio non è delineato se non dagli occhi dei due, di Louis perlopiù che vede in Nora la possibilità definitiva di superare la solitudine. A lei affida se stesso e le sue paure, le sue speranze e i suoi dubbi. «Gli restano trenta minuti prima di incontrare Nora. Lui, però, ne è assolutamente all’oscuro. Eppure è pronto. Ha bisogno di avere una storia. Tutti gli uomini, prima o poi, hanno bisogno di avere una storia loro, per convincersi che gli è capitato qualcosa di bello e indimenticabile almeno una volta nella vita».
Questo triangolo amoroso moderno entra con prepotenza nella fantasia del lettore che si lascia avvolgere da un ritratto psicologico dell’amore che si allontana dai cliché. Che abbraccia tre protagonisti uniti dallo stesso legame, un legame esistenziale profondo che grazie alle parole mai banali di Lapeyre si poggia come seta sul vetro: «Louis trattiene il desiderio, non lo vive fino alla fine. Trattenerlo significa custodirlo e permettere che si rigeneri, soffocando la possibilità dell’amore autentico: c’è nell’uomo una sorta di masochismo che confonde l’amore con la passione. Il sacrificio non si compie per questo processo inconscio».
Ed è la passione che pone in bilico l’esistenza di Louis che non rinuncia, ma non va oltre quel cerchio di protezione che ha costruito intorno a sé. Che sa di non poter avere ciò che il destino gli ha promesso, o forse sa che quello è il destino che in fondo vorrebbe. Allora non resta che affidarsi ad una scelta impossibile, quella di Nora.
Alcuni hanno paragonato questo libro al più celebre “Jules e Jim” di Henri-Pierre Roché, le similitudini non mancano ma al contrario del suo predecessore, qui gli uomini – rivali non si conoscono. Ciò che conoscono è solo la passione comune per la stessa donna che quasi li annulla. Come il paradosso di ogni uomo che sa che deve morire ma conserva fino alla fine il desiderio di continuare a vivere.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Lapeyre dice:
Lo scopo della mia scrittura non è la scrittura stessa. Il mio fine è quello di rendere al lettore la vita trasparente, come se io fossi un soffiatore di vetro e attraverso quel vetro io riuscissi a rendere evidente che nell’esistenza c’è poesia.
Questo libro è passione e poesia.