“sogni ardenti di qualcos’altro!”
Sogni ardenti di qualcos’altro!
Frenesia di andare via,
(Oh, onda che in me s’ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere –
vita sempre fino ad oggi!
Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un’ala,
un veliero che mi portino lì!
Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.
Fernando Pessoa
Dunque … dov’eravamo rimasti? “L’assenza i dio è un dio anch’essa”.
Ancora lui, uno dei più grandi mostri della letteratura del ‘900, una figura di intellettuale, anzi d’ artista, enorme di fronte alla quale ci si rende conto che le pubblicazioni ordinarie, di raccolte e opere, non rendono l’idea se non pallidamente della pluralità e complessità pazzesche che si aprono attorno alla personalità di questo vate portoghese. Un burrone carico di oscuro e di mostri cangianti velato dalla placida figura d’un borghese impiegato cittadino.
Un po’ d’ordine … nella raccolta “il Violinista Pazzo” troviamo questi pochi versi, quasi buttati, quasi poggiati lì chissà per quale astrale casualità, quasi come promemoria per sé stesso Fernando, ricordarsi che non sa dove andare, che sa che non lo si spingerebbe ad andare verso mete già vedute, già battute, quindi banali, forse artisticamente conosciute. Un’affermazione di libertà ed istintualità artistica, filosofica; umana. Pessoa umano lascia molto a desiderare secondo i canoni sociali, si riassume facilmente (certo limitatamente riutilizzando un espressione da me già utilizzata) un “senza donna e senza dio”. Nell’arte Pessoa è tutt’altro che inadeguato e limitato, crea e disfa, inventa e racconta, cronaca e poesia, artista pazzo e borghese, instupidito da credenze astronomiche e ricostruttore storico della storia portoghese.
Dove stanno i sogni a cosa servono? Violenti quanto propri di una dimensione personale, dunque minuscoli; agiscono portandoci via, ma sempre nel respiro, nella carne. Troppo spesso avvelenandoci della loro lucente bellezza che si specchia nel nostro volto stanco e di occhiaie, sempre incapaci d’andare ci s’aspetta che ci portino, che qualcosa si muova e leggiadramente ci accompagni veloce … la loro forza poi svanisce se non rimangon tali.