Primo amore
un tempo
quando avevo 16 anni
c’era solo qualche scrittore
a darmi speranza
e conforto.
a mio padre non piacevano i libri e
a mia madre neppure
(perché non piacevano al babbo)
specie i libri che prendevo io
in biblioteca:
D.H. Lawrence
Dostoevskij
Turgenev
Gorkij
A. Huxuley
Sinclair Lewis
e altri.
avevo la mia camera da letto
ma alle 8 di sera
bisognava filare tutti a nanna:
“il mattino ha l’oro in bocca,”
diceva mio padre.
poi gridava:
“LUCI SPENTE!”.
allora mettevo la lampada
sotto le coperte
e continuavo a leggere
sotto la luce calda e nascosta:
Ibsen
Shakespeare
Cechov
Jeffers
Thurber
Conrad Aiken
e altri.
mi offrivano una opportunità e qualche speranza
in un posto senza opportunità
speranza
sentimento.
me la guadagnavo.
faceva caldo sotto le coperte.
qualche volta fumavano le lenzuola
allora spegnevo la lampada,
la tenevo fuori per
raffreddarla.
senza quei libri
non sono del tutto sicuro
di cosa sarei diventato:
delirante;
parricida;
idiota;
buonannulla.
quando mio padre gridava
“LUCI SPENTE!”
son sicuro
che lo terrorizzava
la parola ben tornita
e immortalata
una volta per tutte
nelle pagine migliori
della nostra più bella
letteratura.
ed essa era lì
per me
vicino a me
sotto le coperte
più donna di una donna
più uomo di un uomo.
era tutta per me
e io
la presi.
c
Charles Bukowski
Io amo profondamente Bukowski,la sua poesia,come la sua prosa,mi diverte, diverte insomma,ed è uno di quei poeti che vi riesce pur cantando la solitudine,la visione della vita dal “lato debole”, la depressione, l’autodistruzione,il fallimento,i bordelli,l’alcolismo ecc.; queste parole sono da sempre usate per parlare di lui,per descrivere la sua figura tutt’altro che gradevole ma che nonostante ciò ha posseduto innumerevoli donne di molti genere ed estrazioni senza ovviamente disdegnare le quelle del mestiere. Charles che capisce,che parla ed apre,che imbratta fogli ed occhi di soliloqui vicinissimi a noi ma che decide di non ascoltarli, di non ascoltarsi,di non dar retta alla sensibilità cha sulle cose umane.
Questa poesia si scambia facilmente per un breve racconto,se le parole non fossero lontane sulla carte,e scattose, c’è l’avvicinarsi puerile alla lettura,o meglio ai suoi protagonisti, ai grandi della scrittura,il poeta vive e scavalca un contesto familiare mediocre, tutto fondato sulla dicotomia dei momenti umani riposo-lavoro,profeta della carta che toglie fiato alla fatica,”terrorizzato” come lui stesso definisce l’atteggiamento del padre nei confronti delle belle lettere.
Il suo primo amore,la sua prima volta…quasi un atto erotico l’immagine descritta verso la fine,tra le ultime parole,le più dolci:
“ed essa era lì / per me / vicina a me / sotto le coperte…”.
Insomma in quel “popolo di perdenti” di cui il nostro Hank si fa aedo quanto rappresentante c’è l spazio per amare la forza di Dostoevskij, l’immensità di Shakespeare, il teatro di Cechov, in quel palco riempito da ubriaconi, perdigiorno, vecchi porci, scrittori.