Le statue, calme, non si preoccupano dell’usura del tempo;
perdono le mani, i piedi o la testa
ma restano sempre nella stessa posa, erette,
o supine per terra, sorridenti,
o, bocconi, voltano la schiena a noi e al tempo
come se copulassero, come intente
a un amore infinito, e noi le guardiamo
con un’inspiegabile spossatezza, tristi. Più tardi
torniamo nell’albergo popolare, tiriamo le tende
per attenuare il bagliore del meriggio, e tentiamo,
nudi anche noi, coricati sul letto scomodo,
di imitare la quieta immobilità delle statue.
Ghiannis Ritsos
A volte sarebbe bello riuscire a guardare la vita da una certa distanza.
Ghiannis Ritsos è stato uno dei maggiori poeti greci del XX secolo. Vincitore del premio Lenin per la pace, scrittore militante, la sua penna si è tinta sì del rosso del comunismo, ma ha saputo dare vita a versi di straordinaria efficacia e spessore.
Le statue sono qui protagoniste dei versi. Belle e immobili sono segno di una condizione ideale. Ognuna nella sua posa non conosce il tempo che passa, l’alternarsi dei periodi, andirivieni dei sentimenti. Ogni statua è ferma nel tempo e nello spazio ma non è priva di pathos. Anzi, ciascuna riesce ad emanare molte sensazioni oltre la nuda staticità.
Al contrario, noi poveri ospiti dell’ albergo popolare in cui siamo obbligati a soggiornare aspiriamo alla stasi, alla pace interiore, ma vi restiamo irrimediabilmente lontani.
Il movimento, la frenesia delle nostre esistenze, ci tengono in un perenne stato di agitazione e aggiungono distanza tra noi e quella quiete. L’immagine finale che il poeta ci regala e con cui chiude la poesia è carica di significati e ricca di suggestioni. Anche noi proviamo e riproviamo, su un letto scomodo a riprodurre la fissità delle statue.
Ritsos ce le ripropone quasi come un modello di vita per noi che le guardiamo. Che cosa possono insegnarci? Che cosa possiamo carpire da quella fredda immobilità? Dove ci conducono attraverso la fissità degli sguardi e l’immobilismo degli arti?
Esse sono in grado di comunicarci la calma, la quiete che sempre ci affanniamo a cercare, ma che raramente troviamo.