Superficialità! – Caro peccato,
Compagna mia e nemica mia carissima!
Tu versasti il sorriso nei miei occhi,
E la mazurka in tutte le mie vene.
Da te ho imparato a non tener l’anello,
Non m’avrebbe la vita presa in sposa!
A cominciare a caso, dalla fine,
E a finire però sempre daccapo.
A essere fuscello, e essere acciaio,
In questa vita, in cui si può sì poco…
A scioglier la tristezza con la cioccolata,
E a sorridere in viso a chiunque passa!
Marina Ivanovna Cvetaeva
Un inno alla superficialità. Originale come non mai.
Marina Ivanovna Cvetaeva è l’autrice. Morta nel 1941, il suo nome è nel novero dei più importanti della poesia russa del ‘900. La sua vena eccentrica la porta spesso a mettere al centro dei suoi componimenti temi innovativi, entro un linguaggio però sempre rigoroso. L’esito obbligato è un genio poetico inconfondibile.
Anche qui propone un argomento insolito e lo indaga entro i termini di una poesia che si mantiene finee raffinata.
A volte la leggerezza è la chiave di tutto. In una vita che deve piegarsi a impegni e doveri, un pizzico di superficialità è una nota che non stona affatto.
La poetessa si rivolge a questo “peccato” come ad un’amica preziosa, ma anche come alla sua “miglior” nemica. La superficialità è stata maestra di vita, le ha insegnato ad accettare l’esistenza, a saper osare.
Questa amata superficialità è stata per la nostra scrittrice fonte di libertà, colei che non l’ha costretta a “tener l’anello”. è riuscita a temprarla, a darle il metro, la giusta misura da assegnare agli eventi, così da renderla contemporaneamente fuscello e acciaio. Le ha permesso di non essere legata agli schemi imposti, le ha dato il coraggio e l’audacia per infrangerli. Le ha dato il senso di un sorriso gratuito fatto a chiunque senza un perché.
Ciò che qui si invoca è la sana superficialità, quella che ti permette di vedere le cose da un’angolazione diversa, di non farsi travolgere dagli obblighi asfissianti e opprimenti, di mettere a distanza le cose di questo mondo. La nostra esistenza è votata alla precarietà e alla fatalità.
“In questa vita, in cui si può così poco…” dare un tono lieve, scegliere di consolarci con la cioccolata, senza provare sensi di colpa, può riportarci nella giusta dimensione, di “dare a ciascuno il suo”.
Quanto, allora, siamo capaci di peccare di superficialità? Quante volte scegliamo di partire dalla fine, di prendere la vita così come viene, di affidarci al caso e alla follia?