Da casalinga a imprenditrice: dopo la Grande Depressione l’ascesa sociale ed economica di Mildred Pierce è inaspettata e veloce. Abbandonata dal marito, l’unico lavoro che le viene concesso di svolgere è quello faticoso della cameriera. Un impiego che la umilia tanto da sentirsi costretta a nasconderlo alle figlie, Ray e Veda, la maggiore. Quando proprio la figlia più grande scoprirà le sue uniformi da lavoro nell’armadio, da una scusa per ingraziarsi momentaneamente l’altezzosa figlioletta nascerà l’idea di mettere su la propria attività, un ristorante. E della trama non voglio svelare altri particolari, perché i colpi di scena sono tanto intensi, così ben studiati e incastonati alla perfezione nella trama, che non desidero in alcun modo rovinare il piacere di scoprire ciò che accade pagina dopo pagina ad un eventuale lettore di questo incontenibile romanzo. Incontenibile in quanto intriso di personaggi grandiosi nella loro decadenza, nella loro umana debolezza, nel loro smisurato orgoglio.
La costruzione della vicenda è labirintica. Gli ostacoli e il loro superamento sono condensati in un solo personaggio, Veda: maligna, arrogante, sprezzante, snob. Cattiva già all’inizio del romanzo, quando ha solo undici anni. Crudele e noncurante alla fine, a vent’anni. Lei è nello stesso tempo il labirinto e ciò che si nasconde al suo interno. Veda è ciò che impedisce a Mildred di raggiungere Veda. È la figlia che la madre cerca in tutti i modi di conquistare: la ama come un’amante, più che come un genitore, ne è gelosa; il suo desiderio di possederla è la spinta che la conduce da essere una casalinga abbandonata dal marito a una proprietaria di tre ristoranti di successo, ma folle tanto da rovinarsi per lei e per il suo amore.
Veda gode nel provocare l’infelicità della madre. La aggira furbescamente, la spinge in tranelli di cui Mildred non sa rendersi conto, la disprezza per la sua ascesa, per la sua posizione, per la devozione che la figlia stessa sfrutta a suo vantaggio. Le battute di Veda, nel romanzo, sono un’antologia della cattiveria, un inventario completo per ogni occasione in cui si voglia esprimere il lato più oscuro e fosco di sé, da cui attingere per provocare sofferenza e, soprattutto, riderne. Mildred è troppo ingenua e innamorata della figlia per capire che è un mostro, una serpe, come la chiamerà il suo maestro di canto. Egli stesso glielo dirà, ma saranno parole pronunciate a vuoto, poiché le uniche che questa madre pazza d’amore è capace di ascoltare sono quelle che elogiano il portentoso talento della figlia.
James M. Cain ha fatto un lavoro straordinario con questo romanzo, costruendo una vicenda intensa e coinvolgente, con picchi patetici che commuovono nel profondo. È un libro che sa toccare i sentimenti più delicati, ma anche quelli più nascosti, che sa mettere in dubbio le bugie che ognuno racconta a se stesso. La HBO nel 2011 ha trasmesso una serie tv riscrivendo la storia di Mildred Pierce, interpretata da Kate Winslet. Sono molto curiosa di guardarla, attentamente, per vedere se la televisione può evocare le stesse potenti emozioni che questa tragica e nera storia ha scatenato in me.