Nina e Philip, due incognite di un’equazione che una vita intera non basta a risolvere. Insieme da più di quarant’anni, vissuti intensamente attraverso la condivisione di molteplici esperienze, lui lascia questo mondo, e lascia lei, in una giornata qualunque, rientrando dal lavoro di insegnante. Sale in camera prima di gustare la cena già pronta, e non scende più, lasciandosi trovare da lei nella forma incompiuta di una morte improvvisa.
La morte, nel libro “E ti ho sposato” di Lily Tuck, è dunque un punto di partenza, perché da questo evento, che arriva con la forza di un ciclone imprevisto, si snoda il ricordo della donna di una vita intera vissuta insieme al marito; la lunga notte di veglia, passata a bere vino senza alcun estraneo intorno, è lo spunto e l’occasione per ripercorrere molteplici tappe lungo quel tempo di condivisione, attraverso luoghi, episodi, incontri, infortuni dell’anima.
Il ricordo sale a ondate, s’infrange contro gli scogli delle incomprensioni, s’inabissa nel gorgo di emozioni e tradimenti mai confessati, poi risale la corrente ed incontra panorami bellissimi, tracce di dolci vacanze, scie dei pensieri così complessi di lui, professore di matematica, che cerca di far comprendere a lei difficili teoremi, ed altrettanto testardamente tenta di inquadrare la vita all’interno di quegli schemi complessi.
Il primo incontro, loro due americani, in un bistrot parigino e, sebbene quel luogo evochi apparentemente una convenzione romantica abbastanza scontata, l’intensità contenuta, un po’ diffidente di quell’inedito trovarsi, contribuisce a renderlo a suo modo unico, come unica è la storia che ogni amante comincia a vivere. Poi il viaggio in Normandia, il matrimonio in campagna, la nascita di una figlia, una serie variegata di itinerari, di spostamenti per motivi di lavoro e l’incontro con persone amate, odiate, temute.
Tutto il racconto è naturalmente filtrato da un unico punto di vista, quello di una donna ormai avanti negli anni, con qualcosa di irrisolto ancora dentro, aspirazioni artistiche mai veramente realizzate, una certa passività di fronte agli avvenimenti, e che ha nutrito ad un tempo, nei confronti del compagno, amore ed avversione, gelosia anche per quel passato di lui, che non è riuscita a conoscere, e fastidio per le piccole manie, i minimi comportamenti, le ritrosie del non detto, e per questo esageratamente intuito.
La banale routine di una coppia, raccontata con toni a volte rassegnati, altre rabbiosamente contenuti; gli incidenti e le incomprensioni, le infinite declinazioni dello stare insieme sono assemblati in un ordine che segue solo le incursioni del cuore, senza riferimenti temporali, se non qualche sporadico accenno storico. La notte inquieta, densa di domande sull’effetto futuro di quella morte, concede al tempo passato il beneficio della distrazione, consentendogli di sconvolgere i ritmi consueti e di flirtare magari con alcune imprecisioni.
Nel racconto di questo vissuto c’è il nostro vissuto, il libro scritto è stato “riscritto” infinite volte, sull’impronta lasciata da questa coppia possiamo mettere le nostre mani, ci troveremo magari linee leggermente divergenti, ma il disegno complessivo non potrà che trovarci eternamente complici.