Nel 1972, Milan Kundera pubblica Il Valzer degli addii.
Libro datato,quindi, ma che ha ancora tanto da dire e che ad ogni nuova lettura lascia scoprire qualcosa di più.
Lo stesso scrittore, autore di ben altri capolavori, ha dichiarato: “è il romanzo che in un certo senso mi è più caro. Come Amori ridicoli, l’ho scritto con più divertimento, con più piacere degli altri. In un altro stato d’animo. Anche molto più in fretta.”
Partirei dal titolo: curioso, affascinante, magico; in questo Kundera è un vero maestro! Fu proprio il nome a catturare la mia attenzione anni fa.
Il romanzo si sviluppa nell’arco temporale di cinque giorni e prende avvio da una telefonata dell’infermiera Rušena a Klima, noto trombettista nazionale, in cui gli annuncia una gravidanza inaspettata, frutto, a suo parere, di una notte di passione tra i due.
Klima, però, è già sposato con Kamila di cui sente di essere profondamente innamorato, nonostante i continui tradimenti (non ho potuto fare a meno di notare una certa somiglianza con la protagonista de L’insostenibile leggerezza dell’essere, Tereza).
Questa la notizia che dà il via a una serie di avvenimenti che approderanno a un finale dalle forti tinte noir.
Interessanti personaggi danzano in questa storia, come Bertlef e Škreta che incarnano rispettivamente la fede e la scienza e Jakub, personificazione del Caso. Protagonista assoluto, a mio avviso, il feto che Rušena porta in grembo.
Spettatore silenzioso e lontano, dal ventre osserva muoversi i vari personaggi spinti dall’egoismo, dal cinismo, dalla paura e dalle mille debolezze ‘umane troppo umane’. Il miracolo della vita è sotterrato da mille sotterfugi e mille astuzie.
Il tema della procreazione è dominante e a renderlo interessante è il fatto che sia analizzato da occhi maschili. Dalla storia si evince che per molti di loro generare non ha nessun effetto positivo. Dice il dottor Škreta: La sola cosa che mi rende un po’ scettico nei confronti della procreazione è la scelta irragionevole dei genitori. E’ incredibile che degli individui orrendi possano decidere di procreare. Sicuramente si illudono che il fardello della bruttezza diventi più leggero se lo si spartisce con i discendenti.
In questo libro nessuna voce fuori campo guida il lettore; i personaggi, protagonisti assoluti, ritagliano spazio descrivendo la loro realtà, il loro stato d’animo.
Ho sempre amato i romanzi senza eroe, quelli in cui l’uomo è descritto in quanto creatura imperfetta e limitata. Qui Kundera ci fa capire chiaramente che anche la creatura più innocente, una volta varcata la soglia, non ha nessuna possibilità di salvezza. Siamo destinati a incattivirci, a giocare secondo logiche illogiche e crudeli.
Ma la vita dovrebbe essere un diritto anche per chi, come il bambino di Rušena, è stato tradito fin dal concepimento.
Insomma, un romanzo che non può mancare nella vostra libreria!