Isolina è una giovane donna brutta, davvero brutta, in questo momento non va di moda, lo so. Dacia Maraini è una donna, una scrittrice colta ed intelligente, nemmeno questo va di moda, lo so. Anche la verità è donna e questo bisogna saperlo.
La storia, una storia vera, è di quelle che non puoi dimenticare e se, per Wilde, nel nome risiede una parte del tuo destino, beh, Isolina sembra non voler rispettare questo schema. Le si chiede già dal battesimo, con l’uso quasi di una sorta di diminutivo, di non occupare troppo spazio nel mondo, e lei osa ribellarsi. Lo fa con mestizia certo, ma crede di aver diritto ad avere un futuro di cui essere artefice. Brutta, sgraziata, si innamora di un uomo bello, intraprendente, il tenente Carlo Trivulzio. Lui la mette incinta e lei, di fronte alle richieste di lui, le richieste incessanti di porre fine alla sua gravidanza, piccola impunita, sogna. Sogna che lui la ricambi ed il bello e giovane tenente trasforma il desiderio in un incubo. La uccide, barbaramente, nel tentativo di strapparle la vita che le cresce dentro con una forchetta, sul tavolo dell’osteria del Chiodo, tra le urla strazianti di lei e le urla bestiali dei colleghi di lui. È il 14 gennaio del 1900. A questo barbaro atto non seguirà punizione, il coinvolgimento dell’esercito e il timore dell’uso che di tale turpe gesto avrebbero potuto fare i socialisti, fa sì che si metta in moto un meccanismo di cui l’Italia non sembra mai stufa, tutto tace.
La Maraini ricostruisce l’intera vicenda partendo dagli articoli di giornale dell’epoca, poiché non furono conservate le carte processuali e, benché cerchi ovunque a Verona, di Isolina sembra non esservi traccia, nemmeno una tomba. Il romanzo nella forma di una vera e propria inchiesta giornalistica non perde mai mordente, vien voglia di essere noi, ora, a dire che Isolina non era solo una macchia nella vita di coloro che la vita gliela tolsero. È questo che fa la Maraini, dona l’esistenza a qualcuno privatone tanto in vita quanto dopo, ad una donna difesa da nessuno, nemmeno dal suo stesso padre, il quale non si costituì, nel corso della vicenda giudiziaria, parte civile.
Il delitto ed ancor di più la mancata punizione del colpevole esigono riparazione, ed in quale altro modo chiunque avrebbe potuto restituire dignità alla giovane? Lo fa per noi chi ha scelto di trarre in salvo dall’oblio questa storia, senza bisogno di esprimere né il proprio trasporto né la propria indignazione, poiché non vi è bisogno di sottolineare ciò che in un contesto di tale meschinità appare quanto mai lapalissiano.
Isolina che andava dimenticata è adesso immortale.
Sembrerà certo una storia d’altri tempi, di diritti calpestati, la donna un oggetto, la morale un concetto vuoto e senza spessore.In un paese come il nostro, il civilissimo belpaese, dove i benpensanti si ergono indignati contro le brutture del fondamentalismo, credo valga la pena ricordare che gli omicidi di donne nel 2010 sono stati ben 127. Anacronistico non è un aggettivo, semmai una speranza.
Belle sono tutte le cose cui non si mescola il turpe. (Simonide)