Un tempo avresti detto di amarmi.
Avresti preso le mie fredde mani in mano, le avresti giunte e io mi sarei sentita come una di quelle madonne delle feste di paese:troppo truccata, troppo poco innocente, poco candida; avresti baciato i miei occhi troppo neri e la tua bocca, fin troppo chiusa, avrebbe pronunciato parole d’amore, parole mai dette.
Un tempo avresti detto che ti saresti occupato tu delle mie ferite;le avresti baciate quelle ferite aperte,le avresti medicate,fasciate,persino le cicatrici sarebbero scomparse-dicesti.
Un tempo avresti detto di amare le tenebre, avresti leccato il mio lato oscuro; non sapevi cosa potessimo essere alla luce-dicesti-.
E poi ora.
Ora?
Ora tutto è come immerso in una tazza di latte denso, sono cieca, non so più cosa siamo alla luce.
Appena la notte sembra arrivare ecco un nuovo sole sorgere per me, un sole fantasma che crudele con i suoi raggi come tentacoli ingoia tutto. Raggi come tentacoli, ingoia tutto: ecco la tazza di latte. Anche nelle tazze di latte si creano dei vortici, sai?non so mossi da cosa, me lo sono sempre chiesto, forse dai pensieri. Beh, si, magari anche loro esercitano una forza sullo spazio che li circonda, creano onde, onde che si infrangono sul mio mare di latte: muovendolo, scuotendomi. Accade ogni volta che ricordo di noi, cioè spesso,forse sempre,perennemente.
Non so.
Non so.
So invece che il tempo non c’è più, non riesco nemmeno a distinguere i momenti reali dai preamboli della follia, la mia stanza in questa casa di cura dalla tazza di latte, il sole da quel gigante polipo rosso.
Puoi ritornare ed aiutarmi?
Vorrei che mi stessi ascoltando, con le orecchie chiuse e gli occhi aperti perché forse è guardandomi che capiresti. Vorrei che mi posassi ancora addosso quelle mani grandi e calde, grandi sul mio gonfio ventre da rana, mani calde sulla mia pelle sottile, la penetravano e riuscivi ad accarezzarmi l’anima, quasi mi facevi il solletico. Ma quando sto in questa stanza, in questa gabbia che amano chiamare casa (come se una casa fossero quattro mura disposte a formare un rettangolo) la lucidità mi avvelena; chi mi guarda non lo fa come lo facevi tu, tu che me li facevi sentire addosso quegli occhi avari, mi guardavi con diffidenza, ma non quella diffidenza sterile di chi qui mi guarda ma non mi vede.
E vorrei urlare a quell’infermiere: “Amami!” ma lui non mi sentirebbe, nascosta la sua testa dentro quella scatola televisore, catturati i suoi occhi dai meloni di quella pupazza.
-Però!Sul serio i miei seni sembrano due rose flosce!-
E tu medico,amami! Ma non mi ameresti mai, troppo preso ad aggiustarti la bella cravatta a righe blu chiaro e blu scuro ed ancora oggi chiedendomi : “Come si sente,signorina?” , penseresti a come risolvere il problema con la moglie da rottamare e l’auto da cui farti perdonare.
Ed ecco, ecco loro, ecco i pupazzi.
Loro dicono sempre che non esisti. Io dico loro, al pupazzo che indossa il camice bianco e quello con in mano il block notes, che sei solo andato via temporaneamente,
puoi ritornare ad aiutarmi?
Loro dicono anche che non c’è alcuna tazza di latte. Io (NON) dico di credere in un complotto: quello loro con il polipo rosso. Io (NON) dico ai pupazzi di sapere, di sapere che sono loro a volermi persa e immersa nella tazza di latte come in una trappola e (NEANCHE) dico loro di aver capito: e il gioco che fra loro si gioca, io, non lo voglio giocare. Vorrebbero farmi credere di essere pazza: e sono anche bravi! Alle volte, alle volte amore, sembrano anche umani! Ma poi io urlo, e urlo, e loro non mi sentono, e sono i pupazzi a non avere occhi per sentire e pelo che ostruisca loro le cavità uditive.
Non so bene quando siano comparsi per la prima volta, potrebbero essere sulla mia terra da sempre, credo ci fossero persino prima che arrivassi tu. Lo dico perché ricordo che ti amai da subito, e lo feci per questo: tu eri l’unico uomo in mezzo ai pupazzi.
Eh no amore! Non che io abbia pregiudizi, io adoravo i peluche, mi rassicuravano : erano i miei padri, le mie madri, i fratelli che non ho mai avuto, speravo potessero diventare anche i miei amori. Prima di conoscere questi di pupazzi ho sempre pensato che avrei sposato uno di loro, o almeno me lo auguravo!Aspettavo il mio cavallo bianco in groppa al principe azzurro, dell’umanità degli umani ho sempre dubitato. Ma questi pupazzi, questi, hanno la bocca cucita e il cuore aperto e nero, nero per l’inquinamento urbano, l’inquinamento mentale, l’inquinamento morale, e di amare non sono capaci.
Puoi tornare ed aiutarmi?
E chiamano amore quello strusciarsi fra pupazzi, non sanno che l’amore si fa con gesti lenti e tremendi, questo me l’ hai insegnato tu. E chiamano amore quel baciarsi al sole, non immagino quanto sia infetto un bacio al buio, di cosa sia capace, di quanti demoni spogli l’anima, anche questo me l’hai insegnato tu. E mi hai insegnato la forza delle parole non dette, parole che si emanano dagli occhi, dalle mani. Hai mille bocche tu, eccetto quella che più ad una bocca somiglia, quella è sempre altro. Ed è poi che mi hai insegnato a separare i baci dalle parole, “non possono venir fuori dallo stesso posto,” -dicevi-“altrimenti avrai baci sterili e parole sempre sporche.”. La prima e l’ultima cosa che mi hai insegnato è che è meglio fuggire piuttosto che vedere le persone che ami decomporsi, come quei cadaveri nelle fosse, mischiarsi con la terra marrone, come quei cadaveri nelle fosse, mentre noi eravamo sempre e solo stati neri e di marrone non volevamo essere infetti.
Prima di andartene me lo avevi fatto capire che saresti scomparso, lo avevi fatto ripetendomi questo- noi,neri, di marrone non volevamo essere infetti-. Ma sapevi che io non avrei visto le tue parole, che non le avrei sentite sulla pelle, non volevo. Eppure le hai dette ugualmente, forse lo hai fatto per sentirti bene con te ,senza me al buio, o forse avresti voluto essere fermato. Allora non lo feci, ma non conoscevo l’orrore delle cecità bianca che ostruisce le parole, la tazza di latte, il polipo rosso. Non sapevo che sarei stata circondata sempre e solo da pupazzi.
“Schizofrenia” -dicono i pupazzi, -“schizofrenica,pazza” -dico io-. Pazza ad aver rifiutato di mischiarci e fonderci con la terra in uno strano rito ancestrale, saremmo rinati una sola persona, tu sempre dentro me- come sempre volevo. Ma ora ho la forza di pregarti, di dirti:
puoi tornare ed aiutarmi?
“Ora del decesso: mezzanotte.”
“Affogamento”
– Fu così che affogò dentro la tazza di latte, lui non tornò.
I pupazzi non sentirono mai le sue urla d’amore.
“Pensi che dovremmo avvertire qualcuno?”
“Era una donna anziana sola e pazza, a chi vuoi che importi?”
“Già,solamente pazza.”
– Ribatté l’altro pupazzo.